PAUSA PRANZO

Regolamentare: 45 minuti.
Poi può estendersi anche a due intere ore di passeggio senza meta (più probabilmente, però, di interminabili commissioni in banca, in posta o simili).
È la mia pausa pranzo – il momento più agognato della giornata lavorativa.

Io le mie pause pranzo preferisco passarle da solo. Non per sprezzo verso i colleghi, con i quali anzi a volte ci troviamo per chiacchierare e rilassarci. È che a me piace stare solo, possibilmente nella tranquillità di un luogo poco affollato, magari a leggere un giornale o più facilmente a sonnecchiare. Sento di aver bisogno di questi momenti di solitudine. Oppure, va da sé, mangio con amici che non vedo tutti i giorni. O con Stefi (che però ha le pause pranzo modellate su quelle di un campo di prigionia nord-coreano).

Sta di fatto che la pausa pranzo è il momento in cui accadono le cose più impensate.
Piccole cose, che io interpreto come segni indecifrabili del destino.

Ad esempio, oggi il destino aveva deciso che non potevo pisciare. Ero lì che mi aggiravo in Piazza Carlina, dove ovviamente non c’è un locale aperto, e riuscivo a sentire solo il rumore della fontanella a 200 metri di distanza che mi ricordava che la mia vescica era in procinto di esplodere. In Piazza Carlina c’è uno dei rari bagni pubblici sotterranei della città. Mi appropinquo e individuo subito un gruppetto di tizi che se la contava proprio lì accanto ai pisciatoi. Ora, io capisco che la città è deserta e che un gay di mezza età ha poche occasioni, ma proprio fermarsi a chiacchierare in un ambiente del genere, per di più poco areato, mi sembra poco salutare. Chiaramente, dopo la prima occhiata che mi ha radiografato il pacco, ho concluso che anche avventurarsi lì sotto per un veloce cambio d’acqua sarebbe stato pochissimo salutare per me.

Poi, mentre continuavo a ripetere dentro me il mantra “La vescica non esiste, la vescica è solo nella tua mente”, incrocio una vecchietta curva e canuta. La vecchietta mi guarda implorante, come se avesse bisogno di qualcosa. Le chiedo “Ha mica bisogno di qualcosa?“. La vecchietta mi squadra tremando, non mi dice nulla e io tiro dritto. Dopo 20 metri mi giro e vedo che si stava facendo aiutare ad attraversare la strada da un tizio. Allora ho pensato “Ma perché? Cosa c’ho io, la lebbra, che non ti vado bene per attraversare la strada?”. Ormai fanno anche gli schizzinosi su chi può fare il boy scout e chi no! Dove andremo a finire. E poi passa una macchina ogni 10 minuti, secondo me se la poteva anche attraversare da sola, la strada.

Infine, tornando verso l’ufficio, ho visto ben due Renault 4. La Renault 4 è stata la mia prima, indimenticata macchina. Non se ne vedono più molte in giro, sarà il deserto di metà agosto che ha fatto sì che uscissero allo scoperto. La R4 aveva un odore particolare, come di gomma bruciata e polvere, proveniente dai tappetini e dal cruscotto arrostito dal sole. Mi sono avvicinato alla prima R4 e l’ho annusata. Aveva proprio quell’odore lì, che mi portava indietro di 20 anni. Ho provato anche con la seconda, ma mi sono ritratto subito. Chissà come, qualcuno ci aveva cagato dentro.

Se questo non è il presagio di una giornata di merda

5 risposte a “PAUSA PRANZO”

  1. finalmente mi hai svelato il mistero del bagno di piazza carlina, è funzionante.poi concordo con te al 100% pausa pranzo rigorosamente d asoli..salvo piacevoli eccezioni!

  2. piacere pietro! anche tu hai un blog molto bello e condivido in pieno questa cosa delle pause pranzo foriere di succosi aneddoti e pillole di insipienza che ti cambiano la giornata…è come vedere lo spiraglio del mondo dalla finestra della prigione, durante l’ora d’aria.
    un caro saluto e a prestissimo qui o altrove sul social mondo
    francesca/panzallaria

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