La mia vita di lettore funziona così. Per settimane, mesi, non riesco a leggere nemmeno una pagina. Poi di colpo il cervello si sblocca, il Kindle segue a ruota e macino pagine come un treno. In questo ultimo mese è andata così. Evidentemente avevo bisogno di un riavvio. Vi voglio parlare dei libri che ho letto, due parole in libertà.
Ho cominciato con Superficie di Diego De Silva, un romanzo breve un po’ sui generis, in cui è difficile “entrare” principalmente perché non ha una vera e propria trama, ma è un flusso di coscienza populista e qualunquista, che non va mai appunto sotto la superficie del “discorso da bar”. In pratica è come leggere i dialoghi di due (o più?) persone che si parlano addosso interrompendosi a vicenda di tutte le cose della vita mantenendo sempre, rigorosamente, un approccio tipo “E allora il PD?”. Da capogiro. Da un lato uno specchio perfetto dell’Italia di oggi, dall’altro il classico specchio dove non ci si vorrebbe veder riflessi.
Ho proseguito con l’ultimo di Gianrico Carofiglio, La misura del tempo. Me lo ero tenuto un po’ da parte perché “puzzava” di legal thriller, che non è proprio il mio genere. Ma l’ultima avventura dell’avvocato Guerrieri è abbastanza atipica, con un andamento narrativo a pendolo tra il 2020 e il 1986, anno in cui il giovane avvocato neo laureato incontra Lorenza, la donna che nel 2020 si ripresenta nella sua vita per chiedergli aiuto in un caso di omicidio in cui è coinvolto il figlio. Tutto sommato un libro affascinante per come affronta il tema del passato che ritorna nel presente.
Che manco a dirlo è anche il tema di Divorare il cielo di Paolo Giordano, il romanzo che più mi ha conquistato (un altro di quelli che tenevo da parte perché mi stressava la copertina e invece poi vedi che non si dovrebbe mai giudicare e hanno ragione i francesi mangiabaguette a fare le copertine tutte bianche come se fossimo nel 1797). Divorare il cielo è un romanzo a più voci narranti, contemporaneo eppure molto classico (stilisticamente ed anche esplicitamente tende a citare molto un certo Calvino). Si svolge tra Torino, la Puglia e l’Islanda in tre epoche differenti e racconta la storia dei rapporti tra quattro amici (Teresa, Bern, Niccolò e Tommaso) tra sesso, tradimenti, sette religiose, agricoltura sostenibile, fecondazione assistita, desiderio di paternità, storie acidissime, follia, misticismo, paura, morte, famiglia, droga, eremitaggio, criminalità. Sì, è uno di quei romanzi monstre che racchiude un po’ tutto lo scibile, poi magari a voi fa cacare, ma a me ha toccato corde che rispondono bene.
Citato Calvino, non posso dimenticare che quest’estate, per la prima volta, ho letto la raccolta completa Mondadori de I racconti, con postfazione ultra esplicativa che mette tutto in prospettiva. Ebbene, oltre alla piacevolezza di trovarci dentro tutto Marcovaldo, che è un po’ la chiave di volta della mia formazione di lettore (esilarante il momento in cui ho deciso di declamare “Luna e GNAC” come storia della buonanotte alla Creatura che mi ha lasciato finire per poi dirmi “non ci ho capito niente ma comunque non mi interessa”), ho letto racconti per me inediti come quelli di Ultimo venne il corvo o quelle di Gli amori difficili. Ci trovi dentro il primissimo Calvino, quello ancora acerbo dei racconti sulla guerra e sulla GUF, fino al Calvino post-fiabe italiane, con i racconti industriali dallo stile sincopato e futuribile. Una delizia, insomma.
Godibile anche Faccio la mia cosa di Frankie Hi-Nrg MC, anche quello mi aspettava sul Kindle da mesi: in pratica una divertente autobiografia tra Torino, Caserta e Città di Castello che va di pari passo con la storia dell’hip hop in america. Il libro finisce quando meno te lo aspetti (come una bomba, cit.) perché si chiude con la pubblicazione di Fight Da Faida in vinile. Come se Francesco avesse pudore di raccontare il suo punto di vista sul personaggio pubblico che Frankie diventa di lì a pochissimo con Verba Manent. Comunque, tanto amore per Francesco di Gesù.
Un altro saggio divertente (ma profondo) che ho letto è Questo libro è Gay di Juno Dawson. Non che presentasse chissà quale novità sull’argomento in questione, è più una sorta di manuale scanzonato che dovrebbe servire a chi è gay per non perdersi d’animo (come fare coming out e robe così) e a chi non lo è di orientarsi nel mondo LGBTQI+. Io comunque su sta cosa ci avevo fatto anche un’infografica tempo fa, ho avuto abbastanza conferma di aver ragionato giusto.
Che altro: ho abbandonato a metà Quiet di Susan Cain (strano: sulla carta dovrebbe essere un libro che mi rappresenta in toto) e ho divorato per la seconda volta dopo qualche anno Sapiens: da animali a déi di Yuval Noah Harari nella sua nuova edizione riveduta. Non mi sono accorto di cosa esattamente sia stato rivisto, ma me lo sono goduto parecchio lo stesso (e io sono uno che magari rilegge i romanzi a distanza di tempo, ma i saggi, perdio, quelli mai). Non c’è niente come Sapiens per ricordarti che sei solo un droplet di sputazzo sperduto nell’immensità dell’universo e che la vita è dolore e sofferenza ma poi muori.
Infine, anche per giustificare l’immagine in evidenza, ho trovato su una bancarella di libri usati la prima edizione Feltrinelli di Il buio oltre la siepe di Harper Lee. Finora avevo solo visto il famoso film con Gregory Peck (e non è che lo ricordassi moltissimo), e leggere questo libro – che in USA credo sia secondo solo alla Bibbia e che “deve” far parte del curriculum di lettura di ogni americano che si rispetti – mi ha segnato moltissimo. Avvicinandomi ai 50 divento certamente una persona meno capace di gestire le proprie emozioni, ma il romanzo di Atticus Finch e dei suoi figli, di Boo Radley e del processo a Tom Robinson accusato di aver violentato una donna bianca nell’Alabama in piena crisi post-1929 mi ha fatto più volte piangere in silenzio mentre lo sfogliavo (in punti peraltro inaspettati). Sorprendente anche la traduzione di Amalia D’Agostino Schanzer che non è scontatamente appiattita sullo stile dell’epoca ma riporta molte delle espressioni crude dell’originale (anche se mi è rimasta la curiosità di come sarebbe l’insulto “negrofilo” in inglese e fa sorridere il passaggio in cui si ammonisce che non si deve dire “nero” perché è offensivo, il termine giusto è “negro” – il che spiega perché la gente della generazione di mia madre ancora oggi dica “guarda che bel negro” quando vede passare una persona di colore).
Va beh, comunque questo è quanto, magari vi aiuta a scegliere qualcosa da leggere e magari poi, se volete, mi suggerite qualcosa che possa piacermi. Anche se credo che con il ritorno al lavoro si ridurrà di molto il tempo per l’otium.