THE WILD ROBOT, UN CAPOLAVORO

Dopo più di 50 anni che guardo film d’animazione – il mio genere preferito insieme a horror e musical proprio per il loro potere di scatenare l’immaginazione – posso dire che Chris Sanders con The Wild Robot non ha solo fatto centro. Di più. Il film è un capolavoro per narrazione, per interpretazione, per animazione, per sensibilità.

Vado a spiegarmi. La storia è quella pluripremiata del libro per ragazzi di Peter Brown (di cui peraltro esistono due seguiti): un robot votato a risolvere i problemi dei “clienti” in un ipotetico futuro alla Jetsons – che però poi vedremo è un po’ più cupo di così – cade da un aeroplano cargo su un’isola deserta che possiamo immaginare al largo delle coste del British Columbia, per dire.

Solo che l’isola non è deserta, ma ovviamente piena di animali. Animali (e natura selvaggia) che sono raffigurati in un modo a metà tra il realistico e il pittorico che è assolutamente inedito nell’animazione americana. Mi spiego meglio: non c’è la volontà di stilizzare, tondeggiare, ammorbidire, almeno non più del dovuto. Gli animali si comportano da animali, si mangiano tra di loro, hanno il pelo bagnato, giusto gli occhi tradiscono quell’espressività tipica da “cartone animato”, e nemmeno sempre. Pittorico perché c’è un contrasto notevole tra alcuni dettagli fotorealistici e il modo in cui sono tratteggiati alcuni animali (la volpe Fink su tutti), quasi ad accumulo di pennellate impressioniste. Ma le mie parole non rendono l’idea, dovete vederlo.

Il robot (ROZZUM 7134 ma potete chiamarlo Roz) non riesce a comunicare con gli animali, va in stand by per un po’ finché non impara il linguaggio della foresta e finalmente riesce a parlare con la fauna locale. Che ovviamente la detesta. Incalzata da un orso furioso, Roz cade distruggendo un nido di oche. Si salva solo un uovo che – al momento della schiusa – fa uscire l’altro protagonista del film, l’anatroccolo sfigato cui Roz dovrà fare da madre, accompagnata in questo “compito” da Fink, che da antagonista diventa amico e confidente sarcastico.

Dimenticavo: Roz è Lupita Nyong’o, Fink è Pedro Pascal, Brightbill (Beccolustro in italiano) è Kit Connor. Peccato non averli sentiti in sala (il doppiaggio italiano è comunque assolutamente dignitoso, ma dovrò recuperarlo in originale).

Potete immaginare da voi che è un film dove si piange assai (io almeno tre o quattro volte proprio coi singhiozzoni) e dove si resta a bocca aperta per certe soluzioni visive che ti calano completamente nel punto di vista di una creatura che vede per la prima volta erba, neve, onde, farfalle, rocce. The Wild Robot è un film che non ha paura di raccontare la morte come parte della vita e di scherzarci su, che non tenta di umanizzare troppo i suoi protagonisti e che alla fine ha una svolta alla Starship Troopers che ti porta completamente da un’altra parte e che fa convivere utopia e distopia nella stessa storia (occhio a quando le oche migrano a sud e all’iconico Golden Gate Bridge).

Da Chris Sanders, dopo capolavori come Lilo e Stitch e How to Train Your Dragon, non mi aspettavo di meno. Ovviamente possiamo trovare molte influenze, ma tutte mescolate benissimo: Roz ha molto del robot di The Iron Giant ma anche dei robot arrugginiti di Laputa Castle in the Sky; la volpe Fink è un personaggio che sembra preso dalle storie di Charlie Mackesy; il finale ha qualcosa della frenesia di The Mitchells vs the Machines; tutto il contesto futuribile che scopriamo solo alla fine ha molto di Wall-E.

The Wild Robot non ha nemmeno paura di lasciarci un messaggio, semplice ma potente, che abbinato ad un film più convenzionale sarebbe appiccicoso e stonato, mentre qui è perfetto: tra ragione e sentimento, solo quest’ultimo ti fa fare il salto per diventare la versione migliore di te stesso. Meraviglioso. PS: sì, c’è una scena dopo i titoli di coda.

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