PARTHENOPE, L’ARTE DEL VEDERE

Parthenope di Sorrentino ha fatto incazzare a morte la critica anglosassone, che lo ha definito “lo spot di un profumo lungo due ore“. Per onestà va detto che anche io, sui titoli di testa ho pensato la stessa cosa, e del resto tra i produttori figura anche la Saint Laurent Productions e questo vorrà pur dire qualcosa. Tutti si stracciano le vesti perché Sorrentino ha fatto un film con una protagonista donna, dove si fuma a pacchi, dove tutti quelli che vedono Parthenope in un modo o nell’altro se la vogliono portare a letto e dove ci sono le tradizionali scene sordide / assurde / blasfeme (ma sempre elegantissime) che abbiamo imparato ad amare.

Ma è Sorrentino, baby. Cosa pretendi. Non posso dire che Parthenope sia il mio film preferito di Sorrentino: ad esempio ho preferito È stata la mano di Dio (che in un certo senso è l’alter ego filmico sempre napoletano di Parthenope). Parthenope è letteralmente farcito di frasi ad effetto (le “sorrentinate”), di immagini bellissime e avvolgenti, di momenti di pura poesia visiva… pure troppo, al limite dell’autocitazione.

Però… Sorrentino stesso ha detto di fare in fondo sempre lo stesso film, e qui è come assistere a un suo flusso di coscienza che mescola metafore e personificazioni, ricerca della bellezza, della giovinezza, di un senso della vita che alla fine può stare solo nell’ironia. Il film non ha trama perché la vita non ha trama, e Partenope (Celeste Dalla Porta, magnificamente espressiva) passa attraverso innumerevoli esperienze, d’amore e di conoscenza, dal rapporto quasi incestuoso col fratello a quello con l’amico d’infanzia, dal camorrista (incredibile la scena della “fusione” tra famiglie criminali) all’attrice in disgrazia, dal ricco industriale al professore di antropologia (Silvio Orlando in uno dei suoi ruoli migliori), dal cardinale preposto al miracolo di San Gennaro (Peppe Lanzetta) all’incontro con il “mostruoso” che forse è il momento in cui – nella testa di Partenope – tutto acquista un senso.

In Parthenope ci si immerge come in un sogno liquido, in acqua e sale: è un film pieno di difetti, molto spesso autocompiaciuto, ma che riempie gli occhi. Magari non va al di là di questo, come invece succede in altri film di Sorrentino meno debordanti. Ma i film brutti sono altri, con buona pace del Guardian.

Una risposta a “PARTHENOPE, L’ARTE DEL VEDERE”

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