SBAGLIARE UN FILM: EMILIA PÉREZ

Emilia Pérez, diciamolo subito, secondo me non merita proprio 13 nomination agli Oscar. Ma questo è un parere personale. Di sicuro è un film “particolare”, di quelli che sulla carta ti fanno dire un po’ “wow” e un po’ “cosacazzo”, poi però quando lo vedi il “cosacazzo” supera di molto il “wow”.

Emilia Perez di Jacques Audiard (uno che peraltro prima di questo film ha sempre prodotto opere molto… diverse, diciamo) è un musical francese ambientato in Messico nel mondo dei narcotrafficanti che segue il protagonista (un boss dei narcos) nel suo percorso di transizione di genere da uomo a donna. Manitas (Karla Sofía Gascón) si rivolge a Rita Mora Castro (Zoe Saldana), un’avvocata che dovrebbe occuparsi delle questioni logistiche legate alla sua transizione, facendo credere lui morto e – dopo le operazioni chirurgiche – una tale Emilia Pérez assurta a nuova vita. Nel frattempo la moglie Jessi (Selena Gomez) e i figli vengono “deportati” in Svizzera. Senonché a un certo punto Emilia ha nostalgia dei bambini e rivuole tutta la famiglia con sé… segue tragedia. Allora: musical. Narcotrafficanti. Persona transgender.

Vabbè, dai. Si può fare. Audiard ci crede tantissimo. E si prende tantissimo sul serio. Ci sono – lo devo dire per onestà – dei pezzi di cinema veramente eccezionali, c’è una bravura soprattutto nell’interpretazione delle quattro protagoniste del film – una sola delle quali è veramente di origine messicana, Adriana Paz che interpreta Epifània, cui è riservato il numero finale del film – e per gli amanti dei musical ci sono almeno due pezzi coreografati e cantati molto bene (entrambi con Zoe Saldana, vera rivelazione ballerina del film).

Per il resto, Emilia Perez mi è sembrato problematico su vari livelli. Primo livello: fai un film sul Messico e su un preciso dramma del Messico contemporaneo ma non lo giri in Messico, fai tutto a Parigi perché è più comodo e ricostruisci un paese da cartolina con i mariachi e tutto. Questo fa già incazzare molte persone. Ma voglio dire, ci sta, stai facendo un musical, è tutto onirico. Il punto di riferimento di Audiard è Les parapluies de Cherbourg di Jacques Démy e già questo la dice lunga.

Secondo livello: fai un film su una persona trans e ad interpretarla c’è una donna trans, ben venga, questo è positivo. Ma in fase di scrittura ti appoggi su tutti gli stereotipi sulle transizioni di genere più beceri? “From penis to vagina”, come cantano nel numero più assurdo del film (“Vaginoplastic”), 50 operazioni in una botta sola, la persona trans bendata stile mummia che esce dalla crisalide, lo stereotipo del trans con la disforia un po’ psicopatico alla Silence of the Lambs? Io ci avrei fatto più attenzione. Non so come Karla Sofía Gascón – che indubbiamente potrebbe meritare un Oscar per l’interpretazione – abbia accettato un ruolo così tagliato con l’accetta.

Terzo livello: fai un musical e le canzoni sono… deludenti? Non memorabili? Scarsamente canticchiabili? Emilia Pérez è quel tipo di musical straniante e straniato alla Annette di Léos Carax (sempre francese, sempre molto serio, ma almeno lì c’erano le canzoni degli Sparks). Le canzoni del duo Camille e Clément Ducol sono in un paio di casi tollerabili e per il resto noiose o fastidiose.

In sintesi, Emilia Perez è uno di quei film che per carità va visto perché “è un caso”, fa parlare di sé ma più in negativo che altro. E ho il sospetto che l’Academy gli abbia dato così tante nomination come “reazione di principio” alle politiche trumpiane. Che tra i messicani e le persone transgender sembra il film fatto apposta per farlo incazzare.

Hai qualcosa da dire?

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.