I RAGAZZI DELLA NICKEL

Nickel Boys di RaMell Ross, tratto dal romanzo omonimo di Colson Whitehead, è sicuramente uno dei migliori film candidati all’Academy Award quest’anno, ma è anche uno dei più “difficili”. Mi spiego subito: il film è uno di quelli che reinterpreta il materiale di partenza (il romanzo, che a me aveva fatto una certa impressione nel 2020) e tenta di creare un testo fedele ma al tempo stesso diverso (un po’ come ha fatto Jonathan Glazer con La zona di interesse di Martin Amis). 

La reinterpretazione di Ross passa attraverso una scelta registica che a molti – a me per primo – appare un po’ indigesta. Quasi tutte le 2 ore e 20 del film sono viste in soggettiva. Questo vuol dire che non vediamo quasi mai in viso gli attori protagonisti. In particolare, per tutta la prima metà del film, vediamo il giovane Elwood per alcuni fugaci secondi riflesso sul finestrino di un autobus, nel metallo di un ferro da stiro usato dalla nonna, nelle foto scattate con la fidanzata in uno di quei box per fototessera.

Elwood è lo sguardo del film, noi siamo Elwood, ma – in assenza del volto dell’attore – i neuroni specchio non si attivano e risulta molto difficile l’identificazione. Non che Ross punti a questo, sia chiaro. Il romanzo di Whitehead è in terza persona e racconta molte cose che – secondo la scelta di Ross – qui sono relegate al fuori campo, intuite e non viste.

Elwood, studente modello, viene pizzicato per un caso (ha accettato un passaggio dal ladro) in una macchina rubata e finisce nel tristemente famoso riformatorio Nickel Academy, dove ai bianchi sono permesse molte cose e i neri vengono sfruttati per un giro di boxe amatoriale e scommesse clandestine, spesso picchiati a morte e sepolti nel prato antistante.

Alla Nickel, Elwood conosce Turner e ben presto la cinepresa assume il punto di vista di Turner, un ragazzo più smaliziato, e a volte la stessa scena viene rivista due volte, dal punto di vista di Elwood e da quello di Turner. Il tutto è condito da spezzoni d’archivio che ci raccontano la condizione afroamericana negli anni ’60 di Selma e del Dr. King (bellissimo quello del film The Defiant Ones con Sidney Poitier durante l’arresto di Elwood) e da flash forward sulla vita di Elwood 40 anni dopo i fatti, che se non sono anche quelli in soggettiva, poco ci manca (la camera è montata dietro le spalle dell’attore in modo che si veda sempre solo la sua testa da dietro).

In Nickel Boys c’è la storia di una profonda amicizia maschile, c’è il coming of age e c’è un colpo di scena che non ricordavo (ma è così anche nel romanzo) che ribalta alcune convinzioni sul finale. Va detto però che è un film da seguire con molta attenzione perché il rischio della deriva formalistica è sempre in agguato, e se non amate il trucco della soggettiva perenne o inquadrature di diversi secondi su dettagli sfocati mentre tutto intorno la gente parla, non è il film per voi.

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