BEAU IS AFRAID, IL VIAGGIO DELL’ANTIEROE

Beau is Afraid è il terzo film di Ari Aster (che già di suo è un regista che o lo ami o lo odi) ed è secondo me il suo migliore. Per affrontarlo però bisogna essere pronti a un film di 3 ore che non è un horror “tradizionale” (come Hereditary o Midsommar). È piuttosto un interminabile incubo edipico con alcune sequenze molto disturbanti ed altre francamente grottesche.

Beau (Joaquin Phoenix) è effettivamente spaventato, in ansia, paralizzato dalle sue paure per tutto il film. Vive in un quartiere che sembra il sogno bagnato di Salvini (assassini, pazzi e spacciatori a ogni angolo), è in cura da uno psichiatra che gli prescrive farmaci dagli effetti collaterali inquietanti e deve andare a trovare sua madre, ma forse non ne ha tutta questa voglia.

A poco a poco, mentre Beau compie un “viaggio dell’antieroe” pieno di sfide improbabili, scopriamo di più su di lui e sul suo rapporto con la madre, attraverso alcuni flashback o sogni indotti dagli antidolorifici. A un certo punto c’è una sequenza animata quasi biblica, in un altro punto (verso la fine, al momento delle rivelazioni) c’è una sequenza talmente esagerata, splatter e grottesca da far ridere per il disgusto.

Non voglio raccontare nulla perché Beau Is Afraid, più che un film da seguire, è un’esperienza da vivere – anche perché lascia più domande che risposte. A me è piaciuto moltissimo, ma so per certo che l’80% delle persone che dovessero guardarlo spinti dalla mia recensione verrebbero ad aspettarmi sotto casa coi bastoni. È un film “divisivo”.