E così siamo a dieci. Dieci anni oggi che non ci sei più. Dieci anni in cui ogni tanto mi cogli alle spalle con qualcosa che sulle prime è difficile da definire, poi dici “ma certo, è proprio così”. Dieci anni in cui non è nemmeno necessario chiedersi “cos’avrebbe fatto mio padre in questa situazione” perché tanto so che nel 99% dei casi avrei fatto lo stesso, da solo. Le tipiche frasi che si dicono in questi casi sono vere: vivi finché c’è qualcuno che si ricorda di te, e di te si parla sempre, anche se non ci sei.
C’è un concetto chiave, quando si parla di narrazione, che è il defining moment, il momento decisivo che definisce un personaggio e lo fa diventare quello che è. Nelle storie raccontate è sempre molto chiaro. In quelle vissute un po’ meno, magari ti rendi conto di aver fatto esperienza di un momento così anni dopo. Senza un momento decisivo un personaggio è abbandonato a sé stesso, la sua strada, il suo arco narrativo non sono chiari. Io di momenti decisivi nella vita ne ho avuti alcuni – magari non tutti riconosciuti subito – ma è chiaro che il principale è stato quel pomeriggio di dieci anni fa. Tutto quel percorso, la tua malattia e la tua morte hanno scalpellato via parti di me e ne hanno rivelate altre. Se così si può dire, hai reso più chiaro il senso della (mia) vita. Mi hai riempito di amore finché ho avuto bisogno e poi hai continuato finché non è traboccato fuori.
Beh… Trabocca ancora, stai tranquillo.
“Avevamo un patto io e te e l’hai tradito tu perché io diventassi grande, scoprendo che il dolore non era la destinazione vera“.