A SIMPLE MAN WITH SIMPLE NEEDS

C’è una quantità finita di energia che un uomo può spendere nella vita.
E credetemi, c’è un limite oltre il quale un cervello umano non può più, materialmente, immagazzinare informazioni.
OK, forse con la droga può. Dovrei provare. Comunque.

Ogni giorno mi dico ehi, sarebbe bello scrivere qualcosa. Perché no? In effetti mi prudono le dita. Poi arriva quell’immagine combinata, tipo “battery low” e “no disk space available” insieme, proprio lì nello spazio tra il retro degli occhi e il davanti del cervello. A proposito, sapevate che proprio in quello spazio ideale si pone il filtro cognitivo che determina se ciò che stiamo vedendo è irrilevante o meno? Ecco, forse io avrei bisogno di un paio di filtri di ricambio, perché – cazzo – a me sembra tutto irrilevante.

In ogni caso è così, come da titolo. Sono un uomo semplice, con dei bisogni semplici. Da mangiare, da bere, da fumare, un po’ di compagnia, qualche storia da leggere, ascoltare o vedere. Roba del genere.
Potrebbe essere più complicato di così, ma non ora. È stato un anno difficile, bambini, e questo splendido quarantenne ha bisogno di riposo. Di se-re-ni-tà. Cosa che, ora come ora, non ho ancora trovato. Perché il cumulo di esperienze che mi si rovesciano addosso mi sembra troppo incalzante per riuscire a spalarlo via in tempo per avere strada libera. Io mi sento così, uno spalatore. Che si trova in questo frangente a contemplare un enorme camion di quelli col cassone reclinabile che buttano sabbia, che avranno anche un nome specifico ma adesso non ho voglia di andare su Wikipedia a vedere qual è.

Perciò, capitemi. Quando ho un po’ di tempo libero dormo (anche da in piedi o da seduto), leggiucchio fumetti o romanzi poco impegnativi, compulso l’iPhone in cerca di applicazioni gratuite sufficientemente idiote da farmi sentire bene, guardo serie tv americane perché così imparo tante parolacce nuove. Anche quelle britanniche, che con Misfits per dire si imparano almeno 17 modi diversi di dire “figa” in inglese.

Seriamente, mi sembra di aver già scritto questo post altre cinque o sei volte nel corso degli ultimi tre anni, perciò lasciate che vi racconti qualcosa di me. Recentemente ho deciso di affidare ad un’agenzia la vendita della vecchia casa di mia nonna. Speravo di velocizzare. È venuto fuori che per vendere devo necessariamente fare cinque nuovi documenti per un costo totale di circa tremila euro. Curiosamente questo dettaglio emerge nel momento in cui ho appena speso i miei ultimi mille euro per dotare la casa nuova di tende. Lo so, le tende non servono a un cazzo, ma le donne… le donne vivono per avere le tende e – statene certi – le donne non vanno mai deluse perché non puoi mai sapere dove vanno a parare una volta che le hai deluse. Per dire, state visualizzando il camion della sabbia?

La casa nuova è soddisfacente, mi sembra ben organizzata. Il lavoro non è un gran che soddisfacente e soprattutto mi sembra pessimamente organizzato. Ma tant’è. In quel caso possiamo sostituire il letame alla sabbia nella metafora visiva che sto cercando di indurre nello spazio tra i vostri occhi e il vostro lobo frontale. Basta dire che da un giorno all’altro non ricordo di aver fatto delle cose, magari anche in collaborazione con dei colleghi. Che il giorno dopo mi dicono sai, quelle slide che mi hai passato ieri, sono servite, abbiamo preso una decisione cruciale sulla base del tuo studio. E a me viene la faccia da what the fuck?! mentre comincio a pensare di soffrire di Alzheimer precoce. Non è bello per niente.

Ho ripreso a scrivere per film-review.it, se volete darci un’occhiata. Ma c’è la crisi, e pagano 2,5 euro ad articolo. No, seriamente. OK, forse dovrei dirvi che si tratta di news brevissime e che io 800-1000 battute me le smazzo easy peasy in tre minuti al massimo. Però dai… Anche questo è un segno dei tempi, no? Per la cronaca, scrivo anche pezzi da 10 euro. Ma quelli bisogna guadagnarseli (i pezzi, dico, non tanto i diecini). In tutto ciò, dentro di me sta fortemente premendo un romanzo semiautobiografico. Sarebbe un modo per buttare fuori, liberare un po’ di spazio. A modo mio, seduto davanti a un monitor con riserva infinita di bevande al tamarindo e popcorn con una spruzzata di peperoncino sopra (poi non devo meravigliarmi di quante volte vado in bagno, lo so).

Però la batteria è ancora troppo scarica.
Perciò mi attesto sul livello simple. Per ora ridimensiono tutto.
Ma mentre navigate oziosamente da una pagina di Repubblica.it all’ultimo video di canguri che si masturbano su YouTube, tenete alta la vostra attenzione.
Perché io sono lì, accucciato nell’ombra, e vi salterò alla gola quando meno ve lo aspettate.
Ta ta for now.

NEOLOGISMO E BARBARIE

Provo sempre una pena infinita quando la mia attenzione si posa sulle prodezze del giornalismo italico. Non è per snobismo, ma in fin dei conti preferisco informarmi attraverso la stampa straniera.

I telegiornali non li guardo da anni. Mi sono sempre orientato su quel paio di quotidiani di riferimento che secondo me mantenevano un certo decoro nella lingua, nella forma, nella presentazione della notizia e soprattutto nell’agenda quotidiana delle notizie stesse. Ormai non leggo neanche più quelli. E non sto parlando di giornali spazzatura come Libero o Il Giornale, i cui titoli alla National Enquirer mi strizzano casualmente l’occhio nel corridoio che dall’ufficio porta al cesso (c’è chi deve sfogliarli per dovere di rassegna stampa, poi finiscono lì dove meritano).
Il problema è la pigrizia mentale.

Io sono il pigro mentale più pigro di tutti i pigri mentali del globo.
Ma mi aspetto che i modelli cui guardo come ad un punto di riferimento siano migliori di me. Se tutto, anche i miei modelli, si comporta in modo tale da essere peggio di me, io posso sentirmi a ragione superiore a tutti, e questo non è il giusto fondamento per una sana vita personale e sociale. Mi riferisco in particolare ad alcuni vezzi del giornalismo italiano che mi riempiono di orrore: le cosiddette scorciatoie linguistiche che dovrebbero rendere la parola scritta più digeribile per un pubblico di supposti illetterati e che hanno l’effetto nauseabondo di renderla, quando troppo sfruttati, direttamente premasticata e predigerita.

Il peggio non ha fine nelle notizie di cronaca nera. La nera è sempre stata la palestra per farsi le ossa di tutti gli aspiranti professionisti. Ci si è cimentato, per dire, Dino Buzzati, uno dei più grandi e sottovalutati scrittori italiani del novecento. Ora, io non pretendo Buzzati. E so anche bene che l’accento particolare sulla nera serve egregiamente a spostare l’attenzione di un’intera nazione dai problemi reali che ci affliggono. Si sta sempre un po’ meglio quando ci vengono raccontate le sfighe degli altri. Ma mi infastidisce l’abitudine (entrata ahimè in auge dai tempi di Alfredo Rampi, il bambino nel pozzo) di prendere i fatti e omogeneizzarli in una disgustosa fiaba per adulti, dove non esistono psicopatici assassini ma “orchi”, dove le vittime (specie se minorenni) sono chiamate sempre e solo per nome o peggio ancora con diminutivi (il piccolo Samuele, Mez, Sarah, Yara, lo stesso Alfredino di ormai 30 anni fa)… Queste persone hanno nomi e cognomi: non dirli equivale a ridurre i loro casi ad una brutta telenovela. Per non parlare di Ruby Rubacuori. Si farà anche chiamare così, ma il dovere di un giornalista (e gli stranieri lo fanno sempre) è quello di chiamarla Karima el Mahroug, ridimensionando a notizia di cronaca carica di tutto il suo squallore la fiaba stile Pretty Woman che certo giornalismo ci propina.

Comunque. Un’altra cosa terribile è quando aggiungono il suffisso -opoli a qualunque scandalo possibile, da Tangentopoli in giù. Già “tangentopoli” in sé è un neologismo ideato da un giornalista spiritoso che voleva paragonare i giochi di potere della seconda repubblica a quelli di un noto gioco da tavolo della Parker Bros. Da qui a Calciopoli, Vallettopoli, Affittopoli, il passo è troppo breve, e infatti è solo questione di pigrizia mentale. Poi ce ne sarebbero mille altre, che sul momento non mi vengono in mente. Magari mi aiuterete voi. E non è solo questione di lingua. Anche di contenuti complessi: i servizi “estivi” coi vecchi al supermercato e i bambini nelle fontane, i servizi sul carovita con le massaie che tastano i cetrioli, qualunque servizio dedicato ad un evento ricorrente, dove le parole (o le immagini) sono le stesse di anno in anno.

Quando rifletto su questo mi chiedo a cosa mi serve essere iscritto all’ordine dei giornalisti.
Quanto meno entro gratis nei musei e mi rifugio nel passato.

FERIAE AUGUSTI

Si avvicina il picco assoluto dell’estate italiana (anche se sembra che l’autunno abbia fatto irruzione con un largo anticipo, ma si sa… sono i monsoni). Se non siete via, se dedicate alla vostra città deserta il culto ferragostano, se siete presi dall’horror vacui, ho deciso di annotare qui per voi alcuni passatempi estivi degni di nota.
I miei, per l’appunto.

Se avete l’estro di andare al cinema per farvi congelare dall’aria condizionata mentre siete ancora umidi di pioggia, in sala c’è ben poco. A meno che non siate appassionati di horror. Allora, questa settimana è uscito Splice di Vincenzo Natali (uno che ha dalla sua un esordio folgorante come The Cube). Pare sia fighissimo, quindi tocca vederlo. Lo stesso (forse) non si può dire per gli horror thai che chissà come mai escono sempre quando teoricamente non li vedrà nessuno. Dimenticate Pandorum, stuzzicante sulla carta quanto noiosissimo alla visione e buttatevi piuttosto su Predators (same old story, ma fatta con i controcazzi) o su Solomon Kane, un film tamarro ma con intelligenza. Ah, e poi ovviamente potreste recuperare Avatar o Toy Story 3 in qualche sala, ma occhio a non farvi fregare vedendoli in 2D! Se siete in astinenza da cartoon potreste scaric… ehm, noleggiare Piovono Polpette o Dragontrainer (comunque ottimi prodotti) in attesa di rituffarvi nel mondo di Molto, Molto Lontano.

Se preferite rimanere spiaggiati sul vostro divano di casa, suggerisco una full immersion in qualche serie TV di pregio. Recentemente si sono scandalizzati con me perché non avevo mai visto The Big Bang Theory e How I Met Your Mother. Ho provveduto molto in fretta, e vi suggerisco caldamente di fare lo stesso. Se invece non siete suscettibili al fascino delle sitcom, ma preferite un tipo di comicità indie, acida e corrosiva, suggerisco Hung (in corso la stagione 2) o United States of Tara (rispettivamente ideate da Alexander Payne e Diablo Cody). Per i più affezionati al drama: non vi sarete mica persi la quarta stagione di Dexter? Lo so, la terza era una palla. Poi però si sono rifatti alla grande. Non dimenticate di recuperare Glee, l’esordio col botto del 2010. E poi, che dire. È ricominciato True Blood, brutti succhiasangue pervertiti!

Il capitolo letture estive è un dramma: fin da Giugno io comincio a tenere “da parte” quei libri che mi sembrano avvincenti il giusto per poter rendere interessante un volo intercontinentale, o un certo numero di serate nella giungla in cui matematicamente Stefi dormirà e io resterò sveglio in compagnia di una torcia a dinamo (7,90 € da Decathlon, per niente cara). Per questa estate ho pensato: Toxic di Hallgrimur Helgasson, Il porto degli spiriti di John Ajvide Lindqvist e La vergine delle ossa di Luca Masali. Tre thriller (contro tre thriller, cit.) che mi paiono attraenti e ben congegnati, ma se voi avete altri suggerimenti ditemi pure.

Se poi volete solo chiudere gli occhi e sentire musica… Mah. OK, è uscito il nuovo degli Arcade Fire, se vi fidate. Terry Gilliam ha curato la regia del loro ultimo show. E poi vanno recuperati Heligoland dei Massive Attack, Rise Up dei Cypress Hill, Mondo Cane di Mike Patton (astenersi amanti della musica italiana… oppure no?), quello nuovo dei Gogol Bordello (a dire il vero non l’ho mica ancora sentito, ma ve lo dico sulla fiducia). Vabbè poi c’è il ritorno di Gil Scott Heron, che non è per tutti, mi rendo conto. E se siete dei vecchi dal cuore gotico non dimenticatevi che quest’anno c’è in giro anche la versione rimasterizzata e superlusso dell’immenso Disintegration dei Cure.

Se poi non vi piace andare al cinema, vedere serie TV, leggere o ascoltare musica…
Vedete di cambiare sito!
Anzi, fate una cosa. Affogatevi di parmigiana di melanzane su un prato antistante l’autostrada.
Dicono sia la cosa giusta da fare, a ferragosto.