LISTAGEDDON

Come ogni fine anno sento, non so, come una sensazione di apocalisse incombente. Mi agito e non capisco cosa succeda, poi realizzo: è il mio lato ossessivo compulsivo e compilatore di liste che spinge per uscire. E dice “COOOOOSA siamo a metà dicembre e ancora non hai compilato la tua lista dei migliori filmdischilibrifumetti del 2019? Dovresti fare quella del DECENNIO, come fanno tutti i listaroli degni di questo nome!”.
E insomma, eccoci qua, è di nuovo quel periodo dell’anno.
Fuoco alle polveri, è il Listageddon!

FILM

Non è mai facile. Oddio, quest’anno è abbastanza facile, sono usciti diversi film pompati come capolavori che alla fine sì, insomma… sono dei capolavori. Però mi riservo sempre di vedere qualcosa che esce a fine anno che magari sbaraglia la lista. Comunque, quella ufficiale, in ordine rigorosamente sparso, è questa.

  • Parasite
    La distopia (nemmeno troppo distopica) di Bong Joon-Ho tra commedia, suspence hitchcockiana ed esplosioni di violenza. Movimenti nello spazio, sangue e pioggia.
  • Once Upon a Time in Hollywood
    La nostalgia canaglia secondo Tarantino, due film in uno: il primo elegiaco, il secondo frenetico e – per la seconda volta dopo Inglorious Basterds – il cinema riscrive la storia.
  • The Irishman
    Quando si dice “film testamento”, un fiume di immagini di 4 ore sulla vecchiaia, la morte, la fine delle illusioni, la solitudine. Ah, e ovviamente la mafia.
  • Us
    La lotta di classe secondo Jordan Peele, tra doppelgänger inquietanti e riflessioni sulla società americana del nuovo millennio.
  • The Dead don’t Die
    L’adorabile versione di Jarmusch sugli zombi, con un cast all star e il suo proverbiale humour deadpan.
  • The Favorite
    Sarebbe di fine 2018 ma sta in molte liste del 2019, il film di Lanthimos sulla regina Anna (Olivia Colman). Intrighi a corte, dominazione femminile e conigli.
  • Midsommar
    Seconda prova di Ari Aster, per me superata alla grande. Horror disturbante come pochi, molto psichedelico e senza scampo.
  • Border
    Fantasy urbano svedese (e già questa definizione basterebbe) tratto da Lindqvist che è anche una riflessione sul diverso e l’inclusione sociale.
  • Joker
    Vabbè, Joker.
  • Il primo Re
    Una sorpresona nell’asfittico panorama italiano. Matteo Rovere avrà sempre tutta la mia stima per questo film cupo, violento, atemporale, bastardo, e soprattutto protolatino.

Ci sono sempre poi i film che devo ancora vedere, mannaggia a me, e che sicuramente credo entrerebbero nella mia lista, come JoJo Rabbit, The Lighthouse o Under the Silver Lake. E poi c’è la lista guilty pleasures, il cui podio quest’anno è saldamente occupato da Six Underground, John Wick 3 Parabellum e Shazam!… il primo goduria cinematica di inseguimenti , il secondo di sparatorie, il terzo è il film di supereroi che ho gradito di più nell’ultimo anno. Ovviamente grande escluso The Rise of Skywalker che aspetterò di vedere in VO quanto prima, ma tanto più che un film quello è un evento epocale.

LIBRI

Nel 2019 ho letto più del solito, a volte abbandonando per disaffezione, più spesso divorando pagine sul Kindle (perché lo ammetto, non ho mai voluto cedere ma da un paio d’anni lo spazio in libreria, le occasioni per leggere e soprattutto la presbiopia mi hanno fatto prediligere il formato digitale). Ho letto con gusto anche un sacco di classici, ma qui vi metto i libri del 2019 che ho apprezzato di più.

  • Bianco
    Ellis al suo meglio, caustico ma vero in un saggio sulla società degli anni ’10 che segue la traccia dell’autobiografia.
  • Patria
    Il romanzo fiume di Aramburu che sulla carta non gli davo due lire e invece prende tantissimo (rapporti tra famiglie di assassini e vittime sullo sfondo dell’ETA).
  • Persone normali
    Opera seconda di Sally Rooney, storia di una relazione difficile (anche un po’ malsana) dalle superiori all’università e oltre. Scrittura chirurgica.
  • Sapiens. Da animali a dèi
    Vabbè dai, ho barato: il libro è del 2011 ma io l’ho letto solo quest’anno (nuova edizione: vale?). Il saggio che ho amato di più degli ultimi dieci anni, forse.
  • I testamenti
    Il seguito del Racconto dell’Ancella di Atwood. Tecnicamente devo ancora finirlo, ma direi comunque che è una bomba.
  • L’istituto
    L’ultimo King mi ha sorpreso per potenza narrativa e coinvolgimento emotivo. Ha capito anche lui che il filone “dodicenni con problemi (e poteri paranormali)” tira.
  • La paziente silenziosa
    Un thriller che appare convenzionale e invece parte con un intrigo psicanalitico e chiude con un twist finale alla sciamalàian che lo ha reso la perfetta lettura estiva.
  • Cat person
    La raccolta di racconti di Kristen Roupenian mi ha colpito assai e molte storie ti restano dentro anche dopo mesi. Un must.
  • L’assassinio del commendatore
    L’ultimo Murakami (in due volumi) ti trasporta in un gorgo di psichedelia, arte, mistero e giapponesità con il solito grande stile.
  • Cercami
    Il seguito di Chiamami col tuo nome, stavolta a due voci. Metà del libro dal punto di vista di Elio, metà dal punto di vista di suo padre. Curioso ed emozionante.

Avrei una paccata di roba ancora da leggere, di libri usciti nel 2019, ma vi metto qui quelli che mi paiono più appetibili: La misura del tempo di Gianrico Carofiglio, Faccio la mia cosa di Frankie Hi-Nrg, La fortezza della solitudine di Jonathan Lethem, A tutto gas di Joe Hill, Lo stato dell’unione di Nick Hornby, Siamo riflessi di luce di Samuel Miller.

ALBUM

C’o’ volum’ d’e’ cuffiett’ a vint’ (come dice Liberato), la musica che mi ha accompagnato costantemente a piedi, in bici, in macchina, a casa, al lavoro, e anche in bagno è questa. Cioè ci sarebbe molto di più ma questi dieci sono gli album che ho ascoltato con più piacerone, stuck on repeat.

  • Ghosteen
    Se la gioca come album dell’anno, probabilmente il capolavoro di Nick Cave. Da ascoltare con religioso amore per passare attraverso la fase più profonda del lutto presi per mano da un artista straordinario.
  • Magdalene
    Niente, FKA Twigs non ce la fa a incidere un album meno che eccezionale. Impossibile definirla (per Wikipedia è “Alternative R&B”), è una delle cose più eccitanti uscite nella seconda metà dell’anno.
  • Norman Fucking Rockwell!
    Lana Del Rey ha prodotto anche lei il suo capolavoro, confermandosi la cantautrice americana più influente del millennio.
  • Assume Form
    Il nuovo album di James Blake normalizza un po’ quello che è stato un fenomeno tutto anni ’10 di alternative R&B (ancora!), grime, downtempo ed electro, ma si tratta pur sempre di un campione della produzione contemporanea (ha lavorato con Brian Eno e Stevie Wonder oltre che con Frank Ocean e Bon Iver, mica cazzi).
  • Fear Inoculum
    Il ritorno dei Tool, chevvelodicoaffà.
  • When we all fall asleep where do we go
    Billie Eilish è il fenomeno pop dell’anno, con buona pace di Ariana Grande che sta in tutte le liste e io invece snobbo. Billie è molto più figa.
  • Cuz I Love You
    Oh, a me Lizzo piace assai, mi piace la sua attitudine, la apprezzava anche Prince e ne aveva ben donde. Qui meno rappusa e più funky soul, ma coinvolgente sempre.
  • Liberato
    Vogliamo dire il miglior album italiano dell’anno? Diciamolo pure. Liberato spacca.
  • i,i
    Sempre più ostico Bon Iver, sempre più sperimentale, sempre più affascinante. Gelido.
  • Hype Aura
    L’altra rivelazione italiana (ma già li conoscevamo) alla prova del primo album. Rap emozionale di intelligente derivazione cantautorale. Interessanti.

Per farne stare solo dieci ho escluso Paprika di M¥SS KETA e quel piccolo gioiello trap che è 236451 di Tha Supreme, Days of the Bagnold Summer dei Belle and Sebastian o Sunshine Kitty di Tove Lo e poi, e poi… se guardo alla mia bibbia della musica on line (Pitchfork) mi rendo sempre conto che ci sono un sacco di album fighi che io non avrò mai tempo di ascoltare, ma tant’è.

SERIE TV

Di serie TV ne guardo sempre molte, per anni è stato un lavoro, poi si sa dov’è andato a finire il giornalismo oggi… ma questa è un’altra storia. Vi piazzo qui le dieci serie che più mi hanno entusiasmato tra gli esordi di quest’anno, barando solo una volta e per poco.

  • Fleabag
    Capolavoro assoluto dell’anno. Di quelle serie che ami o odi. Io amo Phoebe Waller Bridge. E ho amato alla follia Fleabag. E ho anche barato perché la prima stagione è uscita nel 2017 ma qui da noi ha fatto il boom quest’anno.
  • Watchmen
    Nella seconda metà dell’anno, la serie su cui non puntavo, e invece. Stimolante a mille, dialoga in modo eccellente con il materiale di riferimento, ponendo domande invece di dare risposte rassicuranti. Puro Lindelof.
  • The Mandalorian
    Impossibile non ri-innamorarsi dell’universo Star Wars vedendo questa serie. Jon Favreau ci ha “rimesso” il cuore. Baby Yoda è puccissimo.
  • His Dark Materials
    Per due decenni ho atteso una versione potente su schermo della trilogia di Pullmann. Adesso è arrivata, ed è bellissima. Per orfani di Game of Thrones (non c’entra un cazzo, ma è fantasy, oh).
  • Unbelievable
    Come dice il titolo. Una miniserie crime tutta al femminile che punta tutto sulla recitazione. Intensa, sorprendente, con un punto di vista decisamente anticlimatico.
  • Chernobyl
    Altra miniserie che quest’anno ha spaccato. Non un docudrama ma una versione fiction (va ricordato). Eppure la storia è vera ed è più tesa di qualsiasi thriller.
  • The Boys
    Lato supereroi, Amazon Prime ha avuto una delle idee migliori, quella di affidare a Eric Kripke l’adattamento di una serie ultrapulp di Garth Ennis. Esilarante.
  • Russian Doll
    Natasha Lyonne, già una delle mattatrici di OITNB, alla sua prima prova di autrice. A me ha convinto assai. Una sorta di Ricomincio da capo mortifero e sarcastico.
  • The Dark Crystal: Age of Resistance
    Un mondo ricreato “come una volta”. I pupazzi di Frank Oz tornano a far spalancare gli occhi in questo prequel del film del 1982.
  • Sex Education
    La serie comedy che ho preferito quest’anno, con un simpatico e imbranato Asa Butterfield alle prese con il liceo e una madre (Gillian Anderson) sessuologa.

A seguire, le cinque serie già ben avviate o che addirittura si sono concluse con maggior gloria nel 2019.

  • Game of Thrones 8
    Si può dire quel che si vuole, ma è stata una conclusione epocale. Non vedremo mai più una serie così.
  • Stranger Things 3
    Non ha ancora fatto il salto dello squalo, e per questo rendiamo tutti grazie. La rievocazione degli eighties non è mai stata così puntigliosa. A causa di Stranger Things adesso abbiamo la nostalgia “di ritorno”.
  • The Crown 3
    Eccezionale serie britannica sulla cosa più britannica di sempre (la corona). In questa stagione si fa apprezzare parecchio Carlo.
  • Derry Girls 2
    Piccola comedy irlandese che lascia il segno. merito dell’entusiasmo contagioso delle giovani protagoniste e dei loro sexyssimi accenti.
  • OITNB 7
    Orange Is The New Black è stato probabilmente il primo grande successo di Netflix quando Netflix non era ancora… beh, Netflix. Anche in questo caso, con le dovute differenze, una conclusione epocale. Si piange assai.

E come sempre, anche qui ce ne sarebbe ancora da vedere… La mia lista è lunga e il tempo è tiranno: What We Do in the Shadows, Pen15, Euphoria, Barry e tutte quelle che ho iniziato e lasciato indietro come Marvelous Mrs. Maisel, Daybreak, Pose, Il regista nudo, tra le altre.

FUMETTI

  • Momenti straordinari con applausi finti
    Gipi, amatissimo Gipi. Quando ero un pischello c’era solo Andrea Pazienza, oggi c’è Gipi. Gipi che scrive e disegna un libro che parla di me, forse perché parla di tutti. Sicuramente il miglior graphic novel dell’anno e se la gioca con La terra dei figli nella produzione dello stesso Gipi. Questo è più nella vena autobiografica, e ci ricorda che siamo tutti dei coglioni.
  • RSDIUG (Roma Sarà Distrutta In Un Giorno)
    La seconda uscita di Recchioni per Feltrinelli è un mix sperimentale di kaiju e romanità, esperimenti pittorici, Frank Miller e Bill Sienkiewicz, una storia corale di distruzione che lascia l’amaro in bocca.
  • La scuola di pizze in faccia del prof. Calcare
    C’è poco da dire, Zerocalcare è un po’ come Joker. O come i Tool, via. Ogni volta che esce un suo libro è festa grande.
  • Le spaventose avventure di Kitaro
    Un grande classico di Shigeru Mizuki (il manga è degli anni ’60) finalmente ristampato da J-Pop: Kitaro è un ragazzo yokai che vive nei cimiteri e ha ogni sorta di avventure: una gioia per gli occhi (quest’anno ci sarebbe già il secondo volume ma io sto indietro e vi linko il primo).
  • Diario della mia scomparsa
    Una autobiografia per immagini, quella di Hideo Azuma (Pollon, Nana Supergirl). Alcolismo, vita da homeless e uno spaccato inedito della società giapponese. Azuma è morto pochi mesi dopo l’uscita del manga.
  • Dylan Dog Oggi sposi / E ora l’apocalisse
    Il “caso mediatico” dell’anno, almeno in Italia, si risolve in due numeri di Dylan Dog sopra la media per scrittura, disegni e significato nell’ambito del mercato fumettistico nazionale. Chapeau a Recchioni e a tutti i disegnatori coinvolti (tanti). Nel link l’edizione in volume del n. 400.
  • Il principe e la sarta
    Jen Wang ci trasporta nella belle époque dove un principe che ama travestirsi stabilisce un rapporto con una sartina dalle idee ambiziose. Inutile dire che è forse il graphic novel più originale letto quest’anno.
  • Melvina
    Rachele Aragno per Bao ci fa entrare in punta di piedi nel mondo di Melvina, preadolescente in viaggio “nell’aldiqua” con tavole acquarellate e un tratto che ricorda Grazia Nidasio.
  • In cucina con Kafka
    Delizioso, delizioso Tom Gauld. Le sue strisce sono sempre portatrici di grandi sorrisi e sogghigni.
  • House of X / Powers of X
    Ammetto che ultimamente leggo pochissimo Marvel e DC, ma questa minisaga di Jonathan Hickman mi è sembrata veramente degna di nota. Stiamo ovviamente parlando dell’ultimo rilancio/reboot dell’universo X-Men.

Da leggere, come sempre, rimangono ancora molte uscite del 2019… Per esempio Corpi estranei di Shintaro Kago, Luna 2069 di Leo Ortolani, Andy di Typex, Rusty Brown di Chris Ware, P. La mia adolescenza trans di Fumettibrutti.

CARTOON/ANIME

Anche (ma non solo) a causa della mia condizione di babbo di seienne, sto macinando animazione come non mai. Il bello è che ci rincorriamo, io da sempre studio il cinema di animazione e mi godo le serie anime e Cartoon Network. Lui, passata la fase Peppa/Masha/Bing/George ora mi segue con entusiasmo anche su cose più adulte (che però guardo rigorosamente con lui, non chiamate il telefono azzurro). Parto con i cinque lungometraggi animati più apprezzati del 2019.

  • Steven Universe Movie
    Rebecca Sugar fa praticamente un giro trionfale dopo 5 stagioni di SU, e ci propone un musical classico con tutti i crismi, godibile da fan e non iniziati e soprattutto con un villain indimenticabile.
  • Klaus
    Animazione tradizionale con un’occhio particolare all’illustrazione di una volta (e con sorprendente blend dei personaggi negli ambienti). Klaus è la storia di Natale “definitiva”, apprezzabile da grandi e piccini.
  • Toy Story 4
    Tutte le volte mi dico “non può essere che a sto giro la spuntino”, e invece la spuntano. Anche il quarto episodio è decisamente sopra la media.
  • Pets 2
    OK, non è magari all’altezza del primo, ma come franchise Pets è tutto sommato una delle cose più divertenti degli ultimi anni, e questo sequel soddisfa comunque.
  • Modest Heroes
    Piccola grande sorpresa dallo studio Ponoc che mette insieme tre mediometraggi totalmente diversi tra loro e li distribuisce con questo titolo. Da vedere assolutamente (su Netflix).

Proseguo con le cinque serie animate più belle (intendo quelle che un adulto può guardare insieme a un bambino con genuino entusiasmo e interesse)

  • Craig of the Creek
    Serie “figlia” di Steven Universe, con tematiche più quotidiane ma trattate sempre in modo surreale grazie all’immaginazione di Craig, Kelsey e JP, i tre protagonisti “ragazzi del ruscello”.
  • Steven Universe Future
    Dopo il film poteva sembrare che non ci fosse più nulla da dire, ma molti nodi devono ancora venire al pettine. La nuova versione di SU ci proietta in un mondo diverso, dove ai vecchi problemi se ne aggiungono di nuovi…
  • Infinity Train
    La sorpresa di quest’anno di Cartoon Network, partita come una miniserie autoconclusiva ma recentemente promossa a “serie antologica”. Surrealismo a volontà (da uno degli autori di Regular Show).
  • She-Ra and the Princesses of Power
    Per gli orfani di Avatar (il design è simile) o per gli amanti delle storie LGBTQI+, a me She-Ra è garbato moltissimo. Molto del merito va alla supervisione di Noelle Stevenson.
  • Victor & Valentino
    La serie “messicana” di Diego Molano è un’altra delle chicche 2019 di Cartoon Network. I due fratellastri del titolo vanno in cerca di avventure soprannaturali e misteriose, raccogliendo un po’ il testimone dell’indimenticato Gravity Falls.

E ora le cinque migliori serie animate che però non dovreste far vedere al vostro bambino di sei anni manco morti.

  • Undone
    Tra le serie “per adulti” la vera sorpresa dell’anno, tutta in rotoscoping e con una struttura narrativa che vi farà uscire di testa.
  • Love Death + Robots
    Cyberpunk fuori tempo massimo, si potrebbe dire, ma molto eccitante. Mecha design impeccabili, ultraviolenza e storie a sorpresa per questa miniserie antologica.
  • Rick & Morty 4
    Il regalo di fine anno… Rick e Morty è una delle serie animate più cool degli ultimi anni per chi ama la fantascienza e il politicamente scorretto.
  • Bojack Horseman 6
    C’è solo metà stagione, per il momento, ma l’hype è altissimo. Si conclude la parabola di Bojack, il cavallo depresso e alcolista, e non saranno rose e fiori.
  • Made in Abyss
    Una serie anime con design chibi che però è un distillato di angoscia e disagio. Se amate il fantasy e non vi disturba un po’ di loli/shota, può essere la vostra tazza di té.

Ancora da vedere… Weathering with you (stupidamente perso agli eventi organizzati in autunno al cinema), Children of the Sea, I Lost My Body, Violet Evergarden (il film).

Se siete arrivati fino qui, complimenti. Vuol dire che a) avete veramente fame di nuovi contenuti culturali da consumare o b) siete ossessivo compulsivi e listaroli come me. Io avrò comunque assolto il mio compito se vi sarete segnati anche solo una cosa da leggere, vedere, ascoltare. Sipario.

P.S.: comunque se non ne avete ancora basta, ci sarebbe la lista dei 100 meme del decennio di Buzzfeed che vi metterà veramente alla prova.

NOVECENTOMILA PAGINE

Negli ultimi mesi sono ritornato ad essere un lettore compulsivo. Merito probabilmente del Kindle e della facilità di leggere più libri ovunque mi trovi (in metro, a pranzo, in bagno, a letto, etc) senza portarmi dietro pesi considerevoli. Quando parlo di novecentomila pagine intendo ovviamente una stima di massima su “pagine Kindle”, che contengono al massimo tre paragrafi di testo per un cecato come me che aumenta a dismisura la dimensione del font (altro enorme vantaggio del Kindle).

Comunque sia, libri belli ne ho letti diversi (adesso sto leggendo Patria di Fernando Aramburu, storia familiare basca tra terrorismo e redenzione che consiglio vivamente), e mi fa piacere segnalarveli, dato che si tratta di un bel mix di robe totalmente diverse tra loro.

Il più recente, andando indietro nel tempo, è L’estate incantata di Ray Bradbury. Uno dei pochi libri che non avevo mai letto del maestro della fantascienza. Qui non si tratta proprio di fantascienza, ma del racconto lievemente “fantastico” di un passaggio dall’infanzia all’età adulta in un’estate del 1928 a Green Town, Illinois. Il protagonista è Douglas Spaulding, un dodicenne che nelle prime pagine del libro realizza di essere vivo e nelle ultime pagine prende coscienza dell’inevitabilità della morte. Strutturato come una serie di racconti indipendenti in cui i diversi personaggi riemergono ognuno nelle storie degli altri, è un gioiello incredibile che mi sono stupito di non aver mai letto prima (ma forse era questo il momento giusto). Si capisce molto bene da dove arrivano certe atmosfere care a Stephen King.

Poi c’è stato Persone normali, di Sally Rooney. Mi incuriosiva quest’aura da profetessa dei millennial che la Rooney si porta dietro dal primo romanzo (che non ho letto): Questo comunque è una storia d’amore sui generis, che procede seguendo due ragazzi irlandesi diversi tra loro che si prendono e si lasciano dall’adolescenza all’età adulta. Inizialmente è lui, popolare e atletico ad avere le redini in mano (lei è la freak della scuola). Successivamente è lei, che si porta dentro un’oscurità dovuta alla sua vita familiare, a ritrovarsi in una posizione “di potere”. Scrittura secca e coinvolgente, minuziose e azzeccate descrizioni dei moti dell’animo sia maschile che femminile. Finale straziante ma in tono minore, molto bello.

Sapiens. Da animali a dèi di Yuval Noah Harari è probabilmente il libro più importante che potreste leggere in questi anni, talmente necessario che ne hanno fatto anche un bignami on line. La storia dell’umanità dalla preistoria a oggi è raccontata in modo appassionante ed evidenziando i diversi tipi di evoluzione/rivoluzione occorsi nei secoli. Capire il passato aiuta moltissimo a capire il presente e il futuro (oggetto dell’altro libro famosi di Harari, le 21 lezioni, che però non è appassionante come questo). Comunque non scherzo, se non avete la pazienza di leggere tutto Sapiens di Harari, il riassuntone che ho linkato è validissimo e si legge in mezz’ora o poco più.

Anna di Niccolò Ammaniti me lo ero perso all’epoca della sua uscita e l’ho recuperato. Thriller post-apocalittico bello e secco, debitore di Cormac McCarthy ma in salsa siciliana. Un’epidemia ha decimato tutti gli adulti e il mondo è popolato solo di bambini allo stato brado. La protagonista e il suo fratellino devono cavarsela in un mondo dove si può essere sbranati da un cane randagio, rapiti da bande di preadolescenti ridotti allo stato animalesco, dove i cadaveri dei “grandi” infestano con la loro presenza centri commerciali abbandonati, palazzi vuoti, strade silenziose e assolate. Lascia il segno, Ammanniti (che avevo perso di vista da anni) non ha perso il suo smalto.

Proseguendo nel filone romanzi italiani ho letto anche Dolcissima abitudine di Alberto Schiavone e Il romanzo dell’anno di Giorgio Biferali. Il primo mi ha conquistato per il suo essere un “romanzo popolare” della Torino dagli anni della guerra a oggi. La storia è quella di Piera Cavallero, detta Rosa, prostituta dall’età di tredici anni, poi nel giro della mala torinese, poi finalmente “in proprio” e ricchissima, con l’aiuto di un cliente commercialista segretamente innamorato di lei. Tutto è estremamente sabaudo, anche le pratiche sessuali più bizzarre (che non mancano). Ma Piera ha un segreto bruciante, un figlio nato e subito dato in adozione, un figlio che le manca come un arto reciso, che segue da lontano per viverne la vita di riflesso. Ma dopo una vita “in vendita”, tutto quello che Piera può offrire sono i soldi: l’amore è troppo difficile. Il libro di Biferali invece è un intrigante romanzo epistolare che definirei indie (Biferali sta alla letteratura di consumo come Calcutta o I Cani stanno al pop italiano). Qui la premessa è: due fidanzati litigano, lei ha un incidente ed entra in coma, lui non sa staccarsi da lei e le scrive lunghissime lettere in cui le racconta tutto un anno di struggimenti con sullo sfondo la storia italiana e mondiale del 2017-18. Il romanzo dell’anno è un libro tenero, non ruffiano, che commuove in modo non plateale e ha un colpo di scena/ribaltone finale anche quello molto indie.

Documenti, prego di Andrea Vitali e Torpedone trapiantati di Francesco Abate (già autore del simpatico Mia madre e altre catastrofi) in quota “letture leggere” che poi tanto leggere non sono. Il libro di Vitali è un esercizio kafkiano che sulle prime fa sorridere, poi è solo angosciante. Non ho mai letto nient’altro di Vitali (non è il mio genere, solitamente) ma questo – che la maggioranza dei lettori ha schifato – non mi è dispiaciuto: tre agenti di commercio si fermano di notte in un autogrill. Uno di loro viene fermato dalla polizia per un problema sull’auto. Segue discesa nel baratro della follia. Torpedone trapiantati invece è la gustosa e molto fantozziana (nel senso che ricorda un po’ i primi libri di Villaggio) storia di una gita del reparto trapiantati dell’ospedale di Cagliari il cui protagonista, manco a dirlo, viaggia con la madre “sarda di ferro”. Si ride molto, ma le riflessioni sulla morte e sulla seconda occasione che i trapiantati hanno sono dietro l’angolo, sempre.

La raccolta di racconti folgorante del 2019 è sicuramente Cat Person di Kristen Roupenian. Ero già stato conquistato dal racconto che dà il titolo al libro (uscito sul New Yorker nel 2017 e diventato di colpo virale a cavallo del #metoo). L’argomento: una breve relazione finita male a base di sexting e costrutti mentali poco aderenti alla realtà. Tale il successo di questa short story che Roupenian strappa un anticipo a sei zeri per la raccolta di racconti in oggetto. Oltre a Cat Person quindi ci sono altri 11 racconti disturbanti, angoscianti e/o inquietanti riguardo alle relazioni, al sesso, al disagio mentale e altre amenità. Forse il miglior libro tra quelli letti quest’anno (ma io amo i racconti brevi, quindi ha gioco facile).

Infine, per la serie “libri di cui avevo visto solo il film ma che non avevo mai letto”: Le regole dell’attrazione di Bret Easton Ellis. Ho questo ricordo indelebile di James Van Der Beek, Shannyn Sossamon e Ian Somerhalder che mi gira in testa e posso capire che non sia stato per niente facile trasporre Ellis. Adoro come è scritto, con l’inizio e la fine del libro che entrano a metà di una frase già iniziata (o non finita), racconto a tre voci di Sean, Lauren e Paul tra scopate nei dormitori universitari, droghe di ogni tipo, violenze fisiche e psicologiche, il suicidio di una compagna di corso, il triangolo amoroso bisessuale, l’estetica molto anni ’80 (nel film era tutto più anni zero). Una piacevole rimpatriata nel mondo di Ellis che normalmente apprezzo moltissimo anche se mi risulta al tempo stesso un po’ indigesto.

E voi? Quali bei libri avete letto da scambiarci come le figu?

VAGAMENTE INQUIETANTE: L’ARTE DI EDWARD GOREY

Questo Natale ho ricevuto in regalo un libro che ho gradito moltissimo e che ha rinnovato, se mai ce ne fosse bisogno, il mio interesse e il mio amore per Edward Gorey e la sua arte vagamente inquietante.

La prima volta che ho letto Gorey, lo ricordo bene, avrò avuto 8 o 9 anni, su Linus o AlterLinus, che erano poi le riviste di fumetti che giravano in casa negli anni ’70. Non ricordo con precisione cosa fosse, forse “La bicicletta epiplettica” o “L’uccello Adolfo”, comunque sul libro succitato è certamente indicato (ha una copiosa bibliografia). Comunque sia, mi aveva fatto una notevole impressione. Una deliziosa impressione. Come bambino ero già cresciuto a suon di Dickens e Poe, di Carroll e Lear, e Gorey (di cui non conoscevo ancora il nome ma riconoscevo al volo il tratto) sembrava un misterioso e stranamente divertente distillato di tutto l’orrore, il nonsense, la fantasia e lo squallore vittoriano che amavo in quegli autori.

Oggi che Gorey è morto da 18 anni (ebbene sì, sembra un uomo dell’800 e invece è morto nel 2000) se lo nomini a qualcuno ci sono due distinte possibilità: o ti dicono “CHI?!?” o ti abbracciano con sguardo complice e ti sussurrano all’orecchio “Anche io amo Gorey alla follia”, perché essere fan di Gorey è un po’ come appartenere a una ristretta setta di persone che lo venerano e lo tengono come un piccolo tesoro, sfogliando di tanto in tanto le sue pagine.

Qui in Italia, dopo Linus, alcuni libri di Gorey uscirono per la BUR, e più recentemente c’è stato un po’ di movimento in Adelphi. Purtroppo la maggior parte delle cose sono in lingua originale (l’uomo ha prodotto più di 100 opere). Questo non è assolutamente un problema, nella misura in cui  più spesso quel che conta sono le immagini, disegni a china nera dal tratteggio fittissimo, debitori dell’arte surrealista (che lui peraltro amava) e capolavori del non detto.

Gorey è famoso per il suo humor nero. In generale viene visto come un autore per bambini, ma lui ha sempre sostenuto di scrivere e disegnare per un pubblico adulto – peraltro detestava cordialmente i bambini, tanto da riservargli morti orribili in capolavori come “I piccini di Gashlycrumb” (un macabro abbecedario in cui ogni lettera è il nome di un bambino che muore in modo assurdo/banale/grandguignolesco) o “The Hapless Child”. Quello che attrae i bambini – cosa che posso testimoniare in prima persona e nell’arco di due generazioni – è il richiamo al “mostro sotto il letto” che viene però in un certo senso “sterilizzato” dal distacco emotivo e dall’ironia con cui i bozzetti vengono disegnati, raccontati, messi in rima.

Oltre al disegno, infatti, lo stile di scrittura (quasi sempre in rima) è debitore di quei limerick tanto cari a Edward Lear e che – tradotti in italiano – fanno subito quell’effetto “Corriere dei piccoli” che entra in collisione con i disegni quasi sempre francamente inquietanti. Prendiamo il caso de “L’ospite equivoco”, uno dei libri tradotti da Adelphi. Un essere tipo pinguino ma peloso e con le scarpe da tennis (chiaro riferimento a Gorey stesso, che girava sempre con lo stesso outfit, tipo Dylan Dog, e cioè pelliccia di castoro lunga fino ai piedi, dolcevita, jeans e sneaker bianche) si presenta a casa di una famiglia vittoriana. Nessuno sa cosa sia o cosa fare di lui, ma nel giro di pochi giorni questo essere entra nella vita di famiglia con le sue assurde abitudini, tipo mangiare le stoviglie, rubare gli asciugamani o simili e il libro finisce con la famiglia invecchiata e pensosa accompagnata dal solito pseudo-pinguino che – ci viene detto – è rimasto con loro per 17 anni. Il sorriso del nonsense si accompagna all’inquietudine del bizzarro, del fuoriposto, del mostruoso.

E così via, dai libri sui suoi amatissimi gatti (sempre 6, mai 7 perché sarebbero stati “troppi gatti”) ai bestiari mostruosi e fantastici, dagli alfabeti macabri ai libri sul balletto (la sua grande ossessione, vedeva un balletto a sera), dai morality tales vittoriani a libri su serial killer o su cugini omicidi. E poi, naturalmente, il teatro. Le persone un po’ più vecchie di me conoscono Gorey soprattutto per il suo allestimento a Broadway di Dracula nel 1977, quello con Frank Langella che fu poi portato su schermo due anni dopo da John Badham (il mio primo Dracula, per inciso, se non ricordo male visto in TV ancora prima di Christopher Lee o Bela Lugosi). Curiosamente – considerando che Gorey si definiva praticamente asessuale – il suo Dracula prevedeva la star più glam ed erotica che abbia mai interpretato il principe delle tenebre.

Il suo capolavoro assoluto, “The West Wing”, è un libro senza parole, in cui siamo invitati a vagare nell’ala ovest di un palazzo abbandonato: vediamo stanze vuote con tappezzerie strappate, un macigno su un tavolo, un viso fantasmatico dietro una finestra, un crepaccio nel pavimento. Ambienti vuoti, silenziosi, che stimolano l’immaginazione, inesplicabili e inquietanti. Non esiste una storia, ma la sensazione è che qualcosa di indicibile sia accaduto, o forse stia per accadere. Il lato umoristico è che Gorey produsse questo libro dedicandolo ad un critico newyorchese che lo aveva lodato per i suoi disegni parlando però male del suo stile di scrittura (“Ah sì? Beccati un libro senza scrittura, allora”).

Comunque sia, spero di avervi convinto che dovete amare Gorey.
Senza Gorey, per esempio, non avremmo Tim Burton (che visivamente gli deve moltissimo), e non avremmo Daniel Handler, alias Lemony Snicket (la cui scrittura, anche se meno ellittica, è totalmente nel solco di Gorey).
Potreste leggere anche questo recente e approfondito profilo del New Yorker,  o farvi un’idea sulla mia apposita bacheca Pinterest (non so se ve l’ho mai detto, ma il mio profilo Pinterest è molto interessante).

Life is intrinsically, well, boring and dangerous at the same time. At any given moment the floor may open up. Of course, it almost never does; that’s what makes it so boring.”