Se ti lasci prendere dall’andamento "a montagne russe" di Caterina va in città, l’ultimo film di Paolo Virzì, godi veramente un sacco. Secondo me Virzì è rimasto l’unico in Italia a saper fare un certo tipo di cinema. Intendo quello alla Monicelli, alla Risi (proprio per scomodare un paio di numi tutelari della commedia all’italiana). L’unico, decisamente. Già con Ovosodo mi era sembrato una voce diversa dalle solite commedie generazionali che andavano nei primi anni ’90. Virzì sa stare addosso agli attori, e soprattutto sa scoprire dei volti necessari alla sua narrazione (come Edoardo Gabriellini, in quel caso). Poi non dimentichiamo che Ovosodo è l’unico film in cui Nicoletta Braschi dimostra di saper recitare. Non ho ancora visto Mi piace lavorare – Mobbing, ma direi che al momento è così… Poi c’è stato My Name Is Tanino, anche quello visto recentemente, che mette in scena la storia surreale di un ragazzo siciliano in America, con il suo inglese improbabile e la sua aria da outsider sempre e comunque. Il confronto è prima con la famiglia wasp della ragazza di cui è innamorato, poi con la chiassosa famiglia italoamericana, ovviamente mafiosissima. A prestare il volto a Tanino c’è Corrado Fortuna, altro attore azzeccato. Virzì ha ripreso lo stesso schema in Caterina va in città, rendendo il tutto meno macchiettistico e, verso la parte finale del film, decisamente angosciante nella chiusura dell’orizzonte di Castellitto, bravissimo nel delineare l’animo nobile vittima di un sistema che lui stesso contribuisce a creare. Non sapessi per esperienza anche recente che le scuole medie e superiori oggi sono veramente così (la divisione tra parioline e zecche, cioè tra figlie di papà e figlie di papà sedicenti no global e frequentatrici di centri sociali), il mondo di Caterina (Alice Teghil) potrebbe sembrare un parto della fantasia di Virzì. Sotto la patina della commedia, Virzì graffia a sangue. L’amica pariolina e quella squatter si menano, ma i due padri, intellettuale di sinistra l’uno, ministro di Forza Italia l’altro, si abbracciano e spariscono insieme sotto lo sguardo disgustato di Castellitto. Per Virzì la "normalità" di provincia è sempre quella che vince, di fronte alle idee portate come un vestito. Il suo eroismo è quello della classe media che, disorientata e terrorizzata dal presente, sta diventando il capro espiatorio di tutto il sistema – e non sa se, e come, rovesciarlo.
TOCCARE LE TETTE DI LARA CROFT
Appena visto Tomb Raider – Cradle of Life. "Che culo!" diranno i miei venticinque lettori. In effetti… bisogna proprio essere dei nerd che hanno passato gli anni dell’università a manipolare Lara Croft per apprezzare un film del genere. Niente di più e niente di meno di un videogame milionario, ovviamente, anche in questo caso. Ci troviamo dieci spanne sopra al primo film ma per il resto vale la pena vederlo soltanto per far tremare le pareti dei vicini con l’impianto dolby surround. Comunque Lara mira ad essere un incrocio tra Bond e Indiana Jones e se piacciono i bei paesaggi, il film può avere un certo effetto. Dialoghi assurdi e irritanti, labbra siliconate, tutine sexy (ma era meglio Barbarella) e una piacevole ambientazione finale (la "culla della vita"). Simile in modo imbarazzante a Raiders of the Lost Ark, almeno per quanto riguarda la morte del cattivone di turno… gli effetti digitali saranno anche belli, ma i prostetici restano sempre i migliori, per me. In generale un pasticciaccio alla Michael Crichton – un autore che una volta leggevo volentieri, e che poi mi ha stancato – quando i suoi libri cominciavano ad assomigliare troppo ai film che da essi venivano tratti. L’unica eccezione è il film 13th Warrior, che però in mano a John Milius (l’unico autore vivente in grado di confrontarsi con questi temi) sarebbe stato cento volte più bello.
IL RITORNO DEL RE, L’ESPERIENZA TOLKIENIANA DEFINITIVA
Ce l’ho fatta. Sono sempre l’ultimo a vedere le cose, ma alla fine ce l’ho fatta. Il ritorno del re, allo spettacolo delle 17.45, quello dove non ci va nessuno. Sala semivuota. Esattamente dietro di me, naturalmente, il gruppo di sfigati parlottanti con patatine, coca e battuta pronta. Del tipo:
– Gandalf, ma chi è Gandalf?
– E’ un’Istari, approdato nella Terra di Mezzo settemila anni fa.
– E perché quella spada fa la luce blu?
– E’ Pungolo, la spada elfica che Bilbo ha donato a Frodo quando si sono visti a Granburrone…
Insomma: niente di peggio di un tolkieniano che trascina un amico ignaro (che evidentemente non ha visto LCDA e LDT) a sorbirsi quasi quattro ore di delirio fantasy…!
Dunque, Il ritorno del re… a pelle, per me, il migliore dei tre film. Non il più tolkieniano (certo, basandosi su questo metro il film più vicino allo spirito originario è il primo) ma sicuramente il più riuscito dal punto di vista cinematografico. Vado un po’ a punti:
Saruman e Vermilinguo: purtroppo li hanno completamente tagliati! Ora non dico fai vedere la contea in fiamme e la risemina di Samvise Gamgee in base al dono di Galadriel (che tra parentesi non si è visto nemmeno nell’extended version di LCDA), ma almeno la morte di due cattivi di razza come Christopher Lee e Brad Dourif! Togli la morte ad un cattivo e gli togli il suo senso di esistere in un film spettacolare… Persino quel pazzoide di Denethor ha la sua meritata fine tragica…
Denethor e Gandalf: le bastonate mi hanno fatto un po’ sorridere… Gandalf il Bianco si avvicina troppo alla "modalità Legolas"… Condottiero, e tutto, però le bastonate…
Legolas: non ho parole. Come mi suggeriva un amico, bastavano dieci Legolas e la battaglia dei campi del Pelennor era vinta. Ma la scelta del supereroe elfico è voluta. Hanno aggiunto questo tipo di scene quando hanno visto che "il pubblico esultava" ad ogni salita a cavallo, surfata sullo scudo, frecciata ad olifante.
Merry e Pipino: tra i personaggi più riusciti del film e sicuramente tra i più commoventi. Il loro momento di separazione e quello di ritrovamento sono tra le scene migliori della saga.
L’armata dei morti: eccezionale, la caverna dei morti è uno dei momenti visivamente più affascinanti, oltre ovviamente a Shelob. Ricordano tantissimo gli effetti di altri film dello stesso Jackson (Sospesi nel tempo, ad esempio).
Sam: se in LCDA era Frodo e in LDT era Gollum, qui il protagonista assoluto è Sam, l’eroe di tutti i giorni. Ho sempre pensato che fosse il personaggio chiave di tutta la trilogia e non a caso si becca la donna più apprezzabile del film (Rosie Cotton). OK, piange sempre, ma ne ha ben motivo. E comunque quanto a maturità artistica e recitativa, Elijah Wood ha molto da imparare da Sean Astin.
Momenti-Lacrima: la partenza per i rifugi oscuri, l’omaggio degli uomini agli hobbit, la consegna di Anduril ad Aragorn, la finta morte di Frodo, la vera morte di Gollum. In generale IRDR è uno dei rari film che pur presentando battute e linguaggio epico riesce comunque ad emozionare. Almeno, ad emozionare me. Poche file più avanti, c’era una coppia che è entrata a metà del film e che ha russato per la maggior parte del tempo. Ma vai a mangiare una pizza, piuttosto, non so… mah!