SE FRANK CAPRA LAVORASSE ALLA PIXAR…

Recentemente ho avuto modo di vedere Cars, l’ultimo successo Disney/Pixar in DVD. In realtà l’ho visto già da qualche giorno, ma l’impressione è sedimentata dentro di me fino a sbocciare in un pensiero ardito stanotte. Al di là della solita maestria tecnica (anche se – devo dire – le macchine come personaggi mi lasciano totalmente indifferente) e delle gag sempre divertenti tipo quella del carburante biologico del camioncino Volkswagen hippy, mi chiedevo: cosa c’è sempre nei film Pixar? Una bella storia. Infatti c’è una storia decisamente esemplare, con l’eroe sbruffone che, messo a contatto con una realtà provinciale impara ad amare la semplicità e diventa più maturo. Poi ho associato questo pensiero ad un altro pensiero, che ogni tanto mi ronza in testa: dov’è oggi il cinema classico, quello della grande Hollywood che fu? E alla fine la risposta è semplice. Sta nel cinema di animazione (se è fatto con la testa e col cuore). Infatti Cars non è altro che un film di Frank Capra con un po’ di pixel addosso. Se ci pensate nessuno farebbe un film in stile Capra oggi. Chi ci ha provato è rimasto scottato, sia che si trattasse di un remake (Adam Sandler) sia che si trattasse di una rilettura ironica (i Coen in tempi non sospetti). Ma se lo fai in un cartoon, allora va bene. E Cars trasuda buonismo e buonsenso americano da ogni inquadratura. Folgorato da questa idea, consiglio a tutti una bella immersione nel cinema di Capra prima, durante e dopo il Natale. Non mi riferisco a quel film estremamente sopravvalutato che tutti gli anni a Natale viene programmato a rotazione, ma ad altri veri capolavori che vi risulterà un po’ più difficile trovare ma che vi allargheranno il cuore senza intasarvi le arterie, come Accadde una notte, Orizzonte perduto e Arriva John Doe. Tre film classici diversi tra loro che hanno ancora la capacità di dirci qualcosa. Poi Capra si è perso nella propaganda bellica e quando ne è uscito ha prodotto La vita è meravigliosa: la sua ricetta è diventata subito ad alto tasso di colesterolo.

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ADESSO ANCHE IO HO LA MIA STORIA

Ho rivisto per la seconda volta The Weather Man. La prima volta è stato prima che mio padre morisse. Ma l’effetto è quasi lo stesso, come se non fosse cambiato nulla da tre mesi a questa parte. E invece è cambiato tutto. Ho notato ancora una volta quanto i film più universali, quelli che toccano tutti dentro almeno un po’ sono i film in cui il padre del protagonista muore. La morte del padre come topos narrativo. Se ci si pensa, è così. E’ la prova definitiva che volente o nolente ti proietta nell’età adulta. Quella dove di facile non c’è più nulla. Ed è per questo motivo che, tra tutte le cose che mi sono state dette negli ultimi mesi, la più bella di tutte, quella che tengo più cara al mio cuore è la frase "Adesso anche tu hai la tua storia". Tutti hanno una storia, prima o poi. Ora ne ho una anche io.

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MASTERS OF HORROR, SECONDA SERIE!

La mia giornata proverbiale al Torino Film Festival me la sono fatta (ieri). Una volta riuscivo a stare lì tutto il giorno, tutti i giorni. Più passano gli anni e più devo selezionare. E così, nonostante le attrattive fossero come sempre moltissime, ho selezionato Marie Antoinette e la nuova serie del Masters of Horror. Il film di Sofia Coppola è affascinante e straniante. La coppolina ha capito prestissimo come fare un film d’autore non rinunciando a coinvolgere il pubblico (e del resto con tale padre non si poteva pensare altrimenti). Ricostruzione perfetta dal punto di vista dei costumi (Milena Canonero) e dei decor (va beh, hanno girato direttamente sul posto) ma soprattutto geniali idee di regia, che rendono il film interessante da più punti di vista. Soprattutto il lavoro sul sonoro e sui rumori è stato molto apprezzato. Peraltro c’è Kirsten nel suo solito ruolo da furbetta drizzacazzi (è nuda per buona parte del film ma ha una controfigura per il fondoschiena), Asia nel suo solito ruolo volgar-troieggiante e soprattutto la musica che ci piace tanto (Cure, Joy Division, New Order, Siouxie, Bow Wow Wow, Gang of Four, Adam and the Ants, ma anche Aphex Twin e Strokes) che in contrasto con le immagini produce il vero senso del film. Finale misurato e intenso, mai come quello di Lost in Translation, ma buono. Dei nuovi Masters of Horror sono stati presentati i primi sei episodi. Dario Argento (voto: 6) splattereggia con furore su una storia di pellicce maledette e sesso a pagamento (mai così tanto pilu in un film di Dario!) con Meat Loaf che si scortica vivo da solo… John Landis (voto:7/8) fischietta gospel mentre scioglie cadaveri nell’acido (il tutto serve al protagonista per crearsi una famiglia felice di scheletri tenuti insieme dal fil di ferro). John Carpenter (voto: 6/7) frulla Distretto 13, La cosa e Il signore del male autocitandosi a palla e facendo comparire un demone degno dei b-movie anni ’50 (ma occhio a Ron Perlman che usa la specola su un dottore abortista e gli risucchia le interiora). Mick Garris (voto: 7) vira finalmente sull’horror più classico, ma è più un meta-horror: i personaggi sono frutto dell’immaginazione di scrittori perversi. Joe Dante (voto: 9) è come sempre il più lucido e bastardo autore di b-movie in circolazione e lo dimostra con la storia di Jason Priestley (accolto in sala al grido unanime di "VAI BRANDON!!!") alle prese con un virus che fa sì che su tutto il pianeta gli uomini uccidano le donne cancellando ogni possibilità di riproduzione della specie: peccato per gli alieni nel sottofinale. Brad Anderson (voto: 8) conferma il talento di The Machinist imbastendo un horror psicologico basato tutto sul fronte audio: dopo la morte del figlio il protagonista "sente i rumori" con troppa intensità… Scontato il taglio di orecchie finale. Il tutto senza troppa coda, senza troppa stanchezza, e con i soliti incontri che si fanno tutti gli anni al festival (da Ghezzi a Zanello passando per gli ex colleghi dell’MNC)…

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