Un altro edificante ed avvincente aneddoto olimpico dal vostro affezionato. Mi trovo nel pieno dell’ingorgo dovuto all’indesiderata presenza del ministro Pisanu nelle vicinanze dell’ufficio e decido che sarà meglio approfittare del trasporto pubblico. Il 18 tra l’altro non è più il 18 che va da Piazza Sofia a Corso Settembrini ma è "X18" (la "X" non si sa per cosa stia) e sul frontalino segna un percorso "Da Oval Lingotto a Medals Plaza". Fa lo stesso. Davanti a me siede un americano medio, con una moglie sorprendentemente simile ad una donna italiana, anzi torinese (vestita in modo non appariscente, con un taglio e un colore di capelli non appariscente, occhiali, rughe di rassegnazione e aria mesta del tipo "cosa volete che sia, siamo tutti nella stessa barca"). Invece è americana media anche lei. L’americano è chiaramente uno sponsor olimpico, con mille spillette appuntate su giacca, maglione e portabadge. Alcune di queste hanno dei led luminosi intermittenti che mi ipnotizzano. L’americano medio ha un tic. Per la verità ne ha più di uno. Allunga improvvisamente il collo in avanti come un tacchino. Scopre la gengiva inferiore con uno spasmo dei muscoli della mascella. Strizza gli occhi ripetutamente. Che le olimpiadi facciano veramente questo effetto? Mentre lei si atteggia a casalinga torinese appena uscita dal DixDi (ma senza la borsa della spesa) lui sfoglia una cinquantina di fogli diversi con mappe, indicazioni scarabocchiate e roba stampata da Internet. Vedendo che i tic aumentavano in frequenza e intensità, decido di farmi i cazzi suoi (il seguente dialogo dimostra la mia splendida dimestichezza con la lingua inglese).
"May I help you?"
"I beg your pardon?"
"I mean… You need to go to a specific place?"
"Oh, yes… Please, I’m looking for Corso Dante."
"You’re lucky. That’s my stop too."
"Oh! Grrraziiiiey!"
Il tempo delle restanti quattro fermate lo impiega a ripiegare tutti i suoi fogli e a rimetterli in otto tasche diverse. Per un po’ mi trastullo con l’idea di farli scendere molto più avanti e lasciarli sperduti in Piazza Carducci, tanto per andare in controtendenza rispetto alle statistiche del torinese gentile e poliglotta che ama i turisti e le olimpiadi. Poi decido che è tardi anche per me, e scendo seguito dalla strana coppia.
"Bye!"
"Hey!"
"What?"
"You collect pins?"
"Wha… No, not really…"
"Come on, take one of my pins… You choose!"
Mi sta offrendo una delle sue ipnotiche spillette in cambio del mio aiuto logistico. Sono basito.
"Ok, since you ask, I’ll take this one"
L’americano medio stacca la spilletta che ho indicato e me la dà. Mi sento come un bambino napoletano che si è avvicinato ad un carro armato alleato per ottenere qualche chewing-gum nei giorni della liberazione. Non riesco a dire altro che "Have a nice evening in Torino!" – manco fossi dietro il vetro di un ufficio turistico. Poi me ne vado con la mia spilletta. E’ originale. Non ce l’ha nessuno. Forse potrei rivenderla allo Sponsor Village. Ma in fondo credo che la terrò.
7 risposte a “HAVE A NICE EVENING IN TORINO”
I commenti sono chiusi.
ah… dici? In effetti io guardo sempre “Un posto al sole” :-DDD
è la tua anima napoletana che attira l’americano, anche se dal racconto si evincerebbe il contrario. Probabilmente “risuoni” di Vesuvio, mandolini, sciuscià e così facendo istighi il povero ammerigano a farti l’elemosina. Bravo Vannacore!
bravo guagliò!
che dire…ieri sono andato a vedere le gare di pattinaggio artistico e le coppie italiane? cadute…forse sono io che porto sfiga?!….Astro
eheheh, amo questi racconti olimpionici di un povero torinese preso nel ciclone delle olimpiadi.
fo-to, fo-to,fo-to!!!!!
r
LOL!!!