In Camargue è tutto piatto. Il mare, la pianura, lo stagno. In Camargue l’unica città è Les Saintes Maries de la Mer. Piatta anche quella. Si stagliano contro il cielo soltanto le campane della chiesa fortificata. E’ tutto ciò che serve. Piatto, per non pensare a nulla, per spaziare ovunque con lo sguardo e con lo spirito, per vedere il sole che cala fino a notte. Fortificato, per resistere agli attacchi dall’esterno. Silenzio. Rumore di onde, di bambini che ridono. Un grido di gabbiano, ogni tanto. Il frusciare delle pagine degli amati Fante e Salinger. Azzurro totale, luce abbagliante. Se chiudo gli occhi vedo altre luci, se li chiudo forte vedo i puntini, e poi il riflesso di un’iride. Se li socchiudo vedo danzare su uno sfondo blu le piccole impurità che galleggiano sulla cornea. Allora mi domando dov’è il grande architetto e che piano ha per tutti noi. Me lo immagino in costume da bagno, con proverbiale barba bianca, che disegna fitto su un tecnigrafo che ha visto tempi migliori.
"Vedi? Questo è il mio piano imperscrutabile", mi dice facendomi accomodare su uno sgabello. Sul tecnigrafo, una serie di figure geometriche sovrapposte, un caos di linee e forme, peggiorato dalla presenza di innumerevoli cancellature e riscritture.
"Vuoi dire che… tutta la nostra vita, di tutti gli esseri umani, sta su questo foglio da disegno?"
"Beh, no… questa è solo la tua. Ma vedi… è un po’ più complesso di così…"
"Lo sospettavo."
Lo guardo mentre muove quasi a casaccio la squadra e il compasso su quel foglio sporco. Forse lo odio.
"Funziona un po’ come il principio della lavagna magica, vedi? Oggi ci sei, domani…" e cancella tutti i segni sul foglio con un movimento della mano dietro al tavolo da disegno.
E’ un attimo. Lo afferro per quella maledetta nuca bianca e gli sbatto ripetutamente la testa contro il tecnigrafo. Magari potrei disegnare qualcosa col suo sangue. Ma il dolore mi fa capire che sto solo prendendo a pugni il piano di lavoro.
"Non crederai che io sia un’entità materiale…?" mi dice con un mezzo sorriso, in piedi, pochi metri dietro di me.
Osservo i peli bianchi sul petto, i suoi muscoli vecchi, un po’ cadenti ma sempre tonici. Sa di sale e un po’ anche di affumicato.
"No. Certo che no… Era solo uno sfogo."
"Chiaro."
"Già…"
Mi guarda. Sembra soppesare ogni mio aspetto in una frazione di secondo.
"Ti stai abbronzando."
"Beh, insomma… Mi piace prendere il sole, sai com’è. Ma senti… una volta che cancelli il disegno… è finita, vero?"
"In un certo senso…"
Accarezzo il foglio vuoto, provo a spostare le squadre. Lui si siede di nuovo al suo posto.
"Quando scrivi su una lavagna magica, puoi cancellare e riscrivere quanto vuoi… ma qualunque segno tu tracci, lascia un’impronta indelebile sulla superficie di plastica."
Mi mostra in controluce il piano di lavoro. Se la mia vita era un caos, i segni trasparenti rimasti sul foglio vanno al di là di ogni immaginazione.
"Qui c’è veramente tutto, capisci? Tracce di tutto quello che ho disegnato negli anni."
"Ma quanti anni hai?"
"Sei indiscreto… Ti sembrano domande da farsi? A proposito… Usa un po’ di collirio, mi raccomando… di solito aiuta!"
Mi sveglio di colpo. La marea si è alzata, e lambisce il fondo dell’asciugamano. Ora di tornare.
3 risposte a “IL GRANDE ARCHITETTO IN COSTUME DA BAGNO”
I commenti sono chiusi.
E’ bellissimo questo sogno e pieno di significati manco troppo nascosti. Il tuo inconscio è shittico: manco si sforza di far metafore. Te le sbatte in faccia le cose. Fantastico
:-DDDDD
l’ho letto prima di te mio gran fannullone… e pure 2 volte 😉
nun me freghi
Dovresti leggere FLATLANDIA… già te lo dissi… sient’ammé!