VIGATA DOV’E’?

Camilleri sì… Camilleri no… è il tema di Vigàta dov’è? di Costanza Matteucci e Pierre-François Moreau – il documentario che ho visto oggi al Festival. Lo confesso, di solito diserto completamente i documentari. Stavolta ero incuriosito un po’ dal personaggio in questione, un po’ dal passaparola. Il film è godibile, e racconta del viaggio in Sicilia di Pierre-François sulle tracce di Vigàta (la città di fantasia dove Camilleri ambienta le vicende di Montalbano). Le sequenze di viaggio sono quasi tutte al rallentatore e montate con effetto "ghost" (non so come definirlo, in Première si chiama così). Anche se a volte può sembrare fastidioso, si tratta in realtà di una scelta azzeccata, che si sposa benissimo con le musiche (scritte sempre da lui, da P.F.). Queste musiche sono tra le cose che mi hanno colpito di più: mi ricordano i primi Tuxedomoon (gruppo che amo parecchio) e sottolineano i vagabondaggi di questo protagonista spigoloso che mette in crisi tutti i vecchi siculi che non sanno spiegargli dove sia questa fantomatica Vigàta. Il tutto montato in alternanza con interviste a siciliani d.o.c. che presentano le proprie tesi pro o contro Camilleri. Confesso che, pur amando i romanzi, ho trovato gustosissima la figura del siciliano critico verso i "santuzzi" e la teoria "agrigentocentrica" dell’universo. Insomma: un buon film da vedere soprattutto in televisione (non in prima fila al cinema ruminando panzerotto patatine e cocamedia – le riprese visionarie potrebbero causare un po’ di nausea). Unico neo: la voce off sovrapposta in italiano. P.F. mi pare un personaggio strano, molto particolare. Lasciare la sua voce narrante nell’originale francese avrebbe giovato al film. I sottotitoli sono una pratica comune e bene accetta, almeno qui al Festival.

ADORO BATTLE ROYALE!

Ta-Da! Il festival è male organizzato? Devi fare a pugni per entrare? Ti spostano le proiezioni sotto il naso e la tensione sale, sempre di più? Insistono a mettere i film di richiamo in salette da 100 posti? E io li fotto, mi scarico Battle Royale in DivX e me lo guardo a casa mia! Oooh, e poi dicono "perché la pirateria"… Comunque… Il film è decisamente gustoso! Allora il cinema giapponese non è solo riflessivo e statico, non è solo anime, non è solo Shinya Tsukamoto. C’è anche una "serie b" (senza intenti denigratori) fatta di sangue e slapstick – d’altronde la presenza di Kitano è quasi una garanzia… Gli studenti carucci carucci (saranno quindicenni ma sembrano anche più giovani) si scannano con balestre, roncole, uzi, pistole, veleni, pugnali, paletti da campeggio – quando la loro testa non scoppia a causa del collare esplosivo che gli ideatori della Battle Royale hanno pensato bene di fargli indossare! Il bodycount avanza… "41 to go… 40 to go…" – solo uno può uscirne vincitore… o no? Echi di Carpenter e di horror sociale alla Romero misti ad una ideologia tutta giapponese di selezione naturale spinta all’estremo. Questa metafora della vita giovanile ai ragazzi giapponesi deve essere piaciuta moltissimo. E si capisce perché Tarantino abbia pensato bene di prendere una delle ragazze e di trasportarla nel suo mondo privato, regalandole il personaggio di Go-Go Yugari

CRUISING, CAPOLAVORO DISTURBANTE

Cruising di Friedkin. Vi siete mai chiesti perché non passa mai in televisione? Adesso l’ho capito. Vedere Al Pacino che rimorchia vestito come un personaggio di Tom of Finland è sconvolgente. Vedere la pelle, le borchie, il fist fucking i pompini e i corpi sudati di un certo sottobosco gay anche – soprattutto per chi non è abituato (in un certo senso è più "forte" di Irréversible). Friedkin assicura che i 40 minuti che è stato costretto a tagliare erano molto più forti. A questo punto non riesco ad immaginarli. Friedkin racconta che quando portò il film al presidente della commissione censura per una "visione privata preventiva" dopo una bella cenetta costui non facesse altro che gemere e ed escalamre "oh, no… oh, NO!!!". Questo posso immaginarlo. Ma al di là del folklore BDSM c’è tutto il male che Friedkin riesce a mettere in scena nella storia del killer gay che adesca e uccide in un contesto urbano sporco, squallido, popolato di marchette e uomini muscolosi in giubbotto di pelle, canottiera nera e sospensorio. C’è l’urlo della città nella musica dei Germs e dei New York Dolls, c’è il mondo di Lou Reed in cui Al Pacino si muove all’inizio spaesato e alla fine, probabilmente, affascinato. Il gioco di sguardi finale con la moglie travestita come il poliziotto dei Village People è emblematico. Solo che i Village People erano allegri e ironici mentre in Cruising c’è solo sangue, sperma e odore di marcio. Quaranta minuti di tagli non hanno certo giovato a questo film bandito un po’ da tutti i media – sinceramente il finale è un po’ confuso. Ma come tutti i film di Friedkin è un pugno nello stomaco, senza pietà. Adesso capisco perché non è facile per lui lavorare e avere visibilità in un mondo del cinema edulcorato fino alla nausea.