Da quando hanno trasferito baracca e burattini praticamente nel cortile di casa mia, respiro “La Stampa” giorno e notte. Più che logico, quindi, che come un guardone del tutto professionale io stia a spiare dal buco della serratura tutto quello che fanno in redazione.
Origami è il nuovo “oggetto” uscito dalle rotative di via Giordano Bruno e io – come giornalista e designer – non posso fare a meno di dire la mia.
Battute a parte, Calabresi & C. negli ultimi mesi stanno facendo un lavoro paradossale: prendono il “vecchio” e lo fanno passare per nuovo. Il “nuovo/vecchio” è una categoria che piace molto, si sposa bene con il concetto tutto sabaudo di innovazione nella tradizione. Da qui, in epoca di frenesie social, la decisione di inviare una newsletter via email (le email di Calabresi sono sconcertanti, non si può nemmeno dire che abbia scoperto l’acqua calda, forse piuttosto che siamo noi lettori ad esserci abituati a quella appena tiepida). Sempre da qui, secondo me, il meritorio obiettivo di “fermare il mondo” in un foglio di approfondimento. L’Origami, appunto.
Ori-kami, piegare la carta, come ci insegna Wikipedia. E di un semplice foglio piegato si tratta. Quando lo apri tutto e lo rivolti fanno quasi male le spalle a tenerlo aperto per leggere, e la testa si gira di qua e di là per cogliere l’editoriale a sinistra, quello a destra, quello in basso, quello in alto. Un approfondimento settimanale: questo primo numero è dedicato a Vladimir Putin, alla sua storia e al rapporto con il popolo russo. Ci sono interviste, reportage, testimonianze, un esempio di graphic journalism di Giacomo Gambineri (uno che si è fatto le ossa sul Sole 24 Ore, Wired, New York Times e New York Magazine), un’infografica di Giuseppe de Blasi (più che altro una mappona, ma con un confronto tra la Russia del ’91 e quella di oggi), una sola fotografia.
Partirei dalla foto per dirvi cosa non mi è piaciuto di Origami: la carta è bella, rinforzata per le pieghe. La foto meritava almeno un A5 di spazio. Una foto significativa vale tanto quanto un editoriale, un’infografica, una narrazione grafica. Qui serve solo come corollario illustrativo del pur gradevole fondo di Belpoliti. Almeno mezza pagina con una foto di Boris Mikhailov, in questi mesi a Camera con la sua mostra (peraltro in partnership con La Stampa) avrebbe dato più valore aggiunto. E poi, tristemente, la prima pagina. Origami è un bell’oggetto che però si presenta maluccio. Il ritratto di Putin gestito con i servizi di creazione tag cloud (sono indeciso tra Wordle e Tagxedo) non sembra efficace: i volti dei giornalisti disegnati da Stefano Frassetto (il creatore di Ippo, qui in veste “seria”) sono più incisivi, e anche il faccione dello Zar Vladimir avrebbe giovato di questo trattamento. Infine, il logo della testata: a me pare imbarazzante e non in linea con il resto del progetto grafico, ma forse è talmente “nuovo/vecchio” da posizionarsi fuori dal tempo… Il logo di Le Un (il magazine analogo francese al cui format Origami si ispira) è decisamente più sobrio e coerente.
Due scelte grafiche e una editoriale che – a mio avviso – rendono un po’ zoppicante un progetto che invece è interessante e coinvolgente, intanto per la gestualità della lettura, poi per il progetto grafico pulito, geometrico, con l’uso per i titoli del font Sanchez (almeno mi sembra sia quello, potrei sbagliarmi), uno slab serif simile al Rockwell ma più arrotondato: un gran lavoro di Cynthia Sgarallino, l’Art Director di via Lugaro che ha per me il primato di aver tenuto la più interessante delle “lezioni” che ho frequentato per la formazione continua dell’Ordine dei Giornalisti (qui le slide del suo intervento). Anche la tagline ha un che di geniale (“Un solo foglio, le molte pieghe dell’attualità“).
Quindi, comprare Origami o lasciarlo in edicola? Un euro e cinquanta non è poco, di questi tempi. Io ho deciso che lo comprerò in base all’interesse che ho per l’argomento di approfondimento. Patisco, come tutti, le ondate di “newsflash” sulle piazze virtuali che è normale frequentare, in cui è normale vivere. Ogni giorno – ogni ora, direi – c’è il momento collettivo di indignazione, emozione, applauso, polemica, puccyness. E da un momento collettivo all’altro ci si dimentica di quello subito prima.
Un oggetto alieno come Origami ha almeno il merito di obbligare a una pausa forzata e a un piccolo ma necessario esercizio di riflessione.