Un bel principio, davvero.
Ci dimostra come la vita sia governata dal caso.
A molti questa cosa non fa piacere. Voglio dire, il fatto che non ci sia un senso.
Che non ci siano certezze, ma solo probabilità.
Indeterminazione, cioè… nulla è determinato da null’altro. Come nel jazz.
In questa zona grigia dell’anima, le cosiddette festività, oggi è il giorno chiave. Quello più grigio di tutti, quello più sospeso, quello più immobile. L’ultimo giorno prima di ricominciare quello che hai interrotto. Lavoro, routine, commissioni, amori, vita, amicizie, pranzi, cene, colleghi, motocicletta, conti da pagare, dottori da vedere, strade da percorrere, familiari o sconosciute, belle sorprese, brutte sorprese, dormire, scopare, mangiare. Da circa venti giorni tutto è rimasto in sospeso. Più o meno. Un po’ l’equivalente del letargo.
Intendiamoci, qualcosa è successo, durante questi ultimi giorni. Mangiare abbiam mangiato, come dicono i vecchi nelle piole. Fatto natale in famiglia, fatto capodanno con amici, sfruttato in maniera abbastanza intensiva tutti i regali che hanno avuto la gentilezza di farmi, dalla lota in ceramica per praticare Jala Neti al sintetizzatore portatile Korg. Tuttavia ho tentato di staccarmi da molti aspetti della mia vita normale. Ad esempio niente web per un paio di settimane, vita mondana pari al 10% del solito, uso molto limitato del bancomat e della carta di credito (beh, a quello sono stato un po’ costretto), moto sempre chiusa in garage (l’ho portata a fare un giro oggi pomeriggio e sono rimasto stupito nel vedere che la vecchia Virago ha deciso di non abbandonarmi e partire al primo colpo). Qualche uscita fuori porta, per illudersi di essere in vacanza veramente, e un considerevole impegno nel curare la mamma affetta da superbronchite strategica (di quelle che iniziano il 29 dicembre e devono ancora finire adesso).
Il fatto è che a me le feste fanno pensare alla morte. O forse sono i 40 anni. O la scelta delle storie. Ecco, una cosa senza la quale non posso fare a meno di vivere: le storie. Una storia serve a dare un senso ad una serie di eventi casuali, e secondo me se c’è un antidoto alla malinconia da indeterminazione si tratta proprio delle storie. Solo che, in linea con il mood festivo, ho iniziato l’anno cercando sempre solo storie di morte: vediamoci Unforgiven e Lovely Bones, riscopriamo una serie mai seguita, Six Feet Under. Soprattutto, leggiamo un libro di interviste a Morrissey, che fa sempre bene. Poi faccio sogni elaborati e stranissimi. Stanotte ho anche avuto un’esperienza extracorporea: fluttuavo accanto al lampadario e vedevo me e Stefi addormentati nel letto.
No, a parte gli scherzi, non sono depresso. Solo che c’è questa percezione del tempo che scorre al rallentatore, in una bolla di vetro, e l’idea che domani la bolla cadrà a pezzi e il tempo ricomincerà a scorrere inesorabilmente veloce un po’ mi terrorizza. Quindi, odio le feste ma ne apprezzo il fattore di sospensione dal reale. In quale altra realtà potrebbero trasmettere Il tempo delle mele e Il tempo delle mele 2 permettendo a chi vuole uscire dal mondo di avvolgersi in qualcosa di rassicurante come Sophie Marceau a tredici anni? Per poi scoprire, rileggendo quelle vecchie storie, che adesso ti identifichi non tanto con Vic, ma piuttosto con i suoi genitori…!
Insomma, ora ricomincerà la vita e non ci sarà più tempo per la morte.
Rimarrà nascosta dietro l’angolo, desiderosa e insieme timorosa di mostrarsi.
Vorrà dire che dovrò sperimentare il nuovo teleobiettivo al cimitero monumentale.
Beh, Einstein sbagliava quando diceva “Dio non gioca a dadi”. Se consideriamo i buchi neri, capiamo che non solo Dio gioca a dadi, ma che a volte ci confonde tirandoli dove non riusciamo a vederli…