Dice: lo vedi com’è? Dice: è lo stress. Lo capisci al volo che sono stressato. Sai da cosa?
Dice: dai capelli. Sono unti. Vedi? E li ho lavati stamattina, con lo shampoo alla polpa di cedro. Li tratto coi semi di lino, li tratto. Eppure guarda.
E, cristo, non c’è alcun dubbio. Quei capelli sono sporchi. Scendono sul viso come spinaci bolliti. Completamente non-vaporosi, non-lucenti, non-attraenti.
No, non c’è dubbio. Il ragazzo è stressato.
Dice: a volte salto il pranzo. Lo sai come sono quando salto il pranzo. Divento nervoso.
Dice: ho voglia di sushi, portami a mangare il sushi.
E fosse per me, lo porterei a mangiare tutto il sushi, il sashimi e gli uramaki del mondo, davvero. Ma non si può. C’è da lavorare.
Dice: non è così che si lavora. Troppe riunioni. Non è possibile lavorare così.
Dice: non ho concentrazione.
Parole, gesti, spostamenti di pochi metri che implicano cambi di prospettiva, di argomentazione, di filosofia. A ogni slittamento progressivo, a ogni frammentazione della realtà, i capelli si afflosciano un po’ di più.
Dice: è lo stesso tutti gli anni. Ottobre è un mese di merda. Di merda, ripete.
Dice: basta che guardi l’estratto conto. Stanotte l’ho sognato.
Ho sognato che entravo nel sito della banca e scoprivo di essere in rosso.
Mi guarda. Lo sa anche lui che il sogno non è poi così lontano dalla realtà.
Dice: non chiedo troppo. Basterebbe avere i capelli in ordine.
Lo sai quanto ci tengo ai miei capelli.
Lo osservo in silenzio. Sta tremando. Abbozzo un sorriso e gli allungo un flacone di balsamo Awapuhi Moisture Mist di Paul Mitchell.
Ora gli brillano gli occhi.
Prevedibile.