Ed eccoci al terzo appuntamento prenatalizio, quello sulle serie TV più fighe del 2016. Quest’anno sarà ricordato per essere un anno “cattivo” a causa di tutte le morti eccellenti e le brutture varie successe nel mondo, ma un’ottima annata per il racconto televisivo, ormai pienamente maturato come romanzo a puntate collettivo della contemporaneità. Le serie sono per il nostro immaginario un terreno di confronto tra vecchi e giovani, ricchi e poveri, di qua e di là dall’oceano. Quello che il cinema mainstream non riesce (più) a produrre, perso dietro a stantie ripetizioni di sequel, prequel e spinoff, viene raccolto amorevolmente dal piccolo schermo, che diventa ogni anno più “grande”. Quest’anno poi è stato talmente prolifico che ho deciso di parlare (quasi) solo di serie alla prima stagione, iniziate cioè nel 2016. E il materiale non manca (anche se siamo veramente in duopolio HBO/Netflix, il che dà da pensare).
THE NIGHT OF (HBO)
Una miniserie ideata da Steven Zaillian e quindi – per definizione – “scritta bene”. Racconta la storia di un povero cristo intrappolato nei meccanismi della giustizia, accusato per un omicidio che (forse?) non ha commesso. Il fattaccio è nella prima puntata, poi si svolge tutto tra la prigione e il tribunale. Storia classica, tesa, coinvolgente, convincente, misurata e con un finale non conciliatorio. Per me la migliore dell’anno.
STRANGER THINGS (Netflix)
Qui si gioca facile. In Stranger Things c’è la provincia americana dei primi anni ’80, i ragazzini che giocano a D’n’D, i fenomeni paranormali incontrollabili, gli esperimenti governativi, la sparizione di un bambino, e in definitiva un frullato – venuto molto, molto bene – di molto cinema di quegli anni: Stand By Me, E.T., Fusi di testa, Una pazza giornata di vacanza, I Goonies, Stephen King (tanto), Explorers etc. etc. etc. Ci sono Winona Ryder e Matthew Modine (direttamente dagli anni ’80) e soprattutto c’è Eleven, un personaggio fragile e potentissimo. Questa è la serie che mi ha coinvolto di più emotivamente, probabilmente per effetto nostalgia.
THE YOUNG POPE (HBO)
Sorrentino fa una serie TV. Bum! E invece. The Young Pope ti prende per i capelli dalle prime inquadrature e non ti molla più, e tu ti trovi inspiegabilmente attirato da preti e suore anziani (meravigliosi Silvio Orlando e Diane Keaton), vicende vaticane, missioni in Africa, problemi da ufficio stampa papale, etc. Merito di Jude Law, che con questa serie trova il suo ruolo di una vita. Odioso, antipatico, bellissimo, santo, intransigente: il papa giovane veste tute da ginnastica immacolate, fa il vogatore, passeggia nei giardini e ogni tanto butta lì un miracolo. Colonna sonora geniale (come sempre in Sorrentino), grande senso visivo, finale aperto. La serie più stranamente divertente dell’anno.
WESTWORLD (HBO)
Si fatica un po’, a iniziare a ingranare con Westworld. Soprattutto per chi non ama il western c’è un pregiudizio di fondo (che però non vale, perché il western è un mero pretesto, come nel film originale di Crichton). Ma il tema dell’androide che si ribella all’uomo che lo ha costruito è quanto di più perturbante esista in termini di racconto. Qui il tema è sapientemente sviluppato per gradi, con un’eccellenza di scrittura, recitazione, effetti speciali che rasenta la perfezione. Un bel mix di piani temporali differenti e non spiegati completano il quadro: Westworld non è una serie da guardare distrattamente e in definitiva è il miglior “piacere intellettuale” dell’anno.
THE GET DOWN (Netflix)
Splendida ricostruzione del Bronx anni ’70 da parte del genio di Baz Luhrmann: la storia è quella del passaggio dalla disco music al nascente hip hop. C’è Grandmaster Flash (sia come personaggio che come produttore), c’è DJ Kool Herc, un manipolo di ragazzi bravissimi e sullo sfondo un quartiere devastato, case bruciate e voglia di rivalsa. Poche puntate ma intense, musica meravigliosa, regia misurata contro ogni aspettativa. The Get Down funziona benissimo, ed è da vedere assieme alla serie “gemella” documentaria, sempre su Netflix, Hip Hop Evolution.
THE CROWN (Netflix)
Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei appassionato alla vita della Regina Elisabetta II? Eppure è così. The Crown è la classica serie “bella”, che non ha un difetto, dove tutto è sapientemente sintetizzato e messo in evidenza per costruire un racconto fluido e coinvolgente. Peraltro una delle rare serie dopo Downton Abbey dove si può sentire quel bell’inglese pomposo e perfetto che ormai non senti più da nessuna parte. Peccato sia già finita. Almeno per quest’anno.
THE LIVING AND THE DEAD (BBC)
Una serie “minore” della BBC purtroppo chiusa dopo questa prima stagione. Siamo dalle parti della ghost story alla Henry James, ma con un tocco di contemporaneità in più. Ci sono i fantasmi nella fattoria del protagonista? Chi è la donna misteriosa che appare nei boschi? Quel bambino è veramente annegato nello stagno? E perché improvvisamente sul viottolo ottocentesco appaiono i fari di un’automobile? Per me è la serie più agghiacciante dell’anno, per di più costellata da una colonna sonora folk/dark/apocalittica che ancora me la sogno.
LOVE (Netflix)
La serie di Judd Apatow ha fatto schifo a molti. A me è piaciuta. Siamo sempre lì, personaggi sfigati o nevrotici che si parlano addosso e non combinano nulla, una comicità di situazione sempre più amara e disillusa. Si può tranquillamente dire che in Love non succede nulla. Ma io l’ho trovata un fedele specchio dei tempi. E poi c’è Britta.
THE JINX (HBO)
Questo è stato l’anno delle serie documentarie true crime. Molti citano come apice The People vs. OJ Simpson (che non ho ancora visto). Ma per me tutto parte da questa serie inquietantissima uscita l’anno scorso ma che io ho visto solo quest’anno. Si tratta del caso di Robert Durst, un magnate dell’edilizia accusato di aver compiuto doversi omicidi che ha avuto una vicenda giudiziaria molto particolare. L’ultima puntata (a seguito della quale Durst è stato definitivamente arrestato) vi farà correre i brividi lungo la schiena.
ORANGE IS THE NEW BLACK (Netflix)
Il grande recuperone di quest’anno è stato dedicato a Orange Is The New Black, che ci ha dilettato le serate nei mesi estivi. La serie è un grande racconto corale al femminile (c’è anche qualche personaggio maschile, eh) il cui maggior pregio è quello di mostrare diversi tipi di femminilità per età, colore, orientamento sessuale, forme, ceti sociali e di costruire personaggi quasi sempre onesti e veri. Nel fare questo, OITNB parte come una comedy carceraria e pian piano nel 2016 diventa un vero e proprio dramma claustrofobico, paradossalmente senza perdere la leggerezza di tocco.
Cosa devo ancora vedere nel 2016 che probabilmente mi piacerà molto e ancora più probabilmente se mi impegno senza fare troppe pause pipì riuscirò a completare: DIRK GENTLY HOLISTIC DETECTIVE AGENCY (Netflix) / THIS IS US (NBC) / ATLANTA (Fx) / THE OA (Netflix).
Su queste vi saprò dire poi. Alla prossima.