VERMIGLIO È UN FILM ECCEZIONALE

Visto in chiusura d’anno, Vermiglio è il mio personale film-sorpresa del 2024. Il film di Maura Delpero è statico, lineare, solenne, silenzioso. Eppure è come se ci fosse il fuoco sotto la cenere (o sotto la neve, in questo caso), è ricco di deviazioni appena suggerite ma che aprono vite intere, è “popolare”, è ricco di voci, soprattutto dialettali.

Vermiglio è un film in perfetto equilibrio, senza sbavature, in cui l’unico attore famoso (Tommaso Ragno perfetto nel ruolo del patriarca / maestro di montagna) NON si mangia la scena e lascia spazio a una dimensione corale in cui hanno corpo e voce anche tutti i suoi familiari e concittadini, quasi tutti attori non professionisti scelti dopo un lunghissimo casting.

Vermiglio è apparentemente una storia personale degli avi della regista, ma io ci ho visto le storie dei miei nonni (anche: i mobili e l’arredamento dei miei nonni, i libri dei miei nonni, i dischi dei miei nonni, i vestiti dei miei nonni). Tutto l’art department in Vermiglio è così “vero” da far male, ed è una cosa che non mi capita spesso di notare nelle produzioni italiane.

La famiglia Graziadei è composta quindi dal padre/maestro e dalla moglie che gli ha dato tipo 11 figli (non ho ben chiaro il conto): tre femmine, Lucia (la maggiore e la protagonista), Ada (la mediana, dedita alla masturbazione e alle penitenze, probabilmente lesbica) e Flavia (la minore, quella intelligente che infatti sarà quella che studierà). Sette maschi, di cui il più grande, Dino, è in conflitto col padre, poi ci sono tipo quattro fratellini piccoli che funzionano da coro greco, un neonato che a un certo punto muore in una delle scene più belle del film (muore fuori campo e anche il funerale è fuori campo, ma resta una delle scene più belle, anche per la musica, tutta di cori alpini). Un altro figlio che è già morto prima che inizi il film e durante il film ne spunta un altro, partorito durante gli eventi.

Vermiglio ha l’incedere maestoso delle stagioni, per mezz’ora è inverno, poi è primavera, poi estate, poi autunno (in tutto dura due ore). In inverno arriva Attilio, il nipote del maestro riportato dal fronte da Pietro, un soldato siciliano. I due vengono tacciati di diserzione ma il maestro non ci sta: sono soldati da accogliere e nascondere. Tra Pietro e Lucia nasce l’amore, e finiscono per sposarsi (tutto questo mentre Dino litiga col padre, Ada si masturba con le foto vintage erotica del padre e poi si rotola nel guano per penitenza, Flavia studia furiosamente Pascoli).

In primavera Lucia è incinta (ma la pagnotta nel forno ce l’aveva da prima di sposarsi), Ada è attratta dalla disinibita Virginia, Dino vorrebbe bere ma non glielo permettono, Flavia viene promossa a pieni voti. In estate Pietro dice “vabbè la guerra è finita e mia madre in Sicilia manco sa che sono vivo, vado a trovarla ma torno presto”. E invece non torna.

Scoppia il dramma (che non vi spoilero) e la famiglia Graziadei avrà un notevole contraccolpo emotivo e pratico. Tutto il film è parlato in dialetto (quindi è con i sottotitoli) e non si può non pensare a Ermanno Olmi o ai Taviani. Delpero però riesce a trovare delle soluzioni registiche inedite che non lasciano mai spazio alla noia anche se ci sono lunghi momenti di contemplazione della natura o di esplorazione di primi piani intensi. Spesso le inquadrature sono a misura di bambino perché sono i piccoli di casa, nei loro incessanti bisbigli notturni (come i miei nonni e i miei prozii, dormivano in 10 in 3 letti) a cercare di cavare un senso da quello che succede: la guerra, l’amore, il sesso, il peccato, la morte, la religione.

Vermiglio è un film eccezionale, nel senso che proprio è un’eccezione nel panorama nostrano odierno. Ve lo suggerisco caldamente, è una scheggia fuori dal tempo che si pianta nel cervello, e vorresti rivederlo subito. Ma tanto andrà di sicuro su RaiPlay.

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